Riflessioni a partire da "Un pugno di domande alla galassia anarchica"
riceviamo e diffondiamo uno scritto a partire dal testo “Un pugno di domande alla galassia anarchica e non solo”
Qui il pdf dell’articolo
In risposta al pugno
Avendo letto “Un pugno di domande alla galassia anarchica e non solo” vi propongo alcune considerazioni a proposito delle tante questioni aperte dal suddetto scritto.
Innanzitutto non mi presento, saranno mi auguro le mie parole a farvi comprendere il mio punto di vista. Se scrivo in questo spazio è perché coltivo ancora la speranza di trovare tra chi legge un’intelligenza libera che vada al di là delle definizioni e delle scuole di pensiero, degli slogan e dei dogmi, del politicamente corretto e dell’autocensura.
Anch’io provo inquietudine, un’inquietudine che però è maturata nel tempo, in mezzo a una società che uccide in maniera automatica il pensiero e quindi la capacità di giudizio.
La catastrofe ci mette alla prova, la critica alla società industriale e allo stato sarà vissuta fino in fondo o verrà affondata dalla paura di essere etichettati come fascisti, complottisti, omofobi e via dicendo?
Una società industriale avanzata genera malati perché rende gli uomini incapaci di controllare il proprio ambiente e, quando essi crollano, sostituisce una protesi ‘clinica’ alle RELAZIONI spezzate. Contro un simile ambiente gli uomini si ribellerebbero se la medicina non spiegasse il loro scombussolamento biologico come un difetto della loro salute, invece che come un difetto del modo di vivere che viene loro imposto o che essi impongono a se stessi. L’assicurazione di personale innocenza politica che la diagnosi offre al paziente serve come una mascherina igienica che giustifica un ulteriore asservimento alla produzione e al consumo.
Ivan Illich in Nemesi Medica
“Tutta la nostra civiltà è fondata sulla specializzazione, la quale implica l’asservimento di coloro che eseguono a coloro che coordinano; e su un simile fondamento non si può che organizzare l’oppressione, di certo non alleviarla.”
Simone Weil in Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale
“Una mela al giorno toglie il medico di torno. Basta avere una buona mira.”
W. Churchill
L’istituzione del coprifuoco e della quarantena generalizzati, in particolare nelle città e nei paesi dove il contagio non c’era, sono state assolutamente nocive e liberticide. L’isolamento forzato indiscriminato, da nord a sud, dai borghi alle città, dalla montagna al mare, ha fomentato paure e procurato danni alla salute di qualsiasi persona. La colpevolizzazione di chi passeggiava in solitudine e della fascia più giovane della popolazione ha portato al delirio persecutorio e alla diffusione di malesseri di ordine psichico molto gravi. L’industria degli psicofarmaci certamente ci ha guadagnato, d’altronde come si dice? Mors tua vita mea.
Non mi permetterei mai di dare indicazioni di gestione delle epidemie, non ho titoli da vantare per questo ma c’è una storia inglese che narra di una città di nome Leicester che affrontò il vaiolo in questo modo: “non appena emerge un caso di vaiolo, il medico e il proprietario di casa sono obbligati a dichiararlo subito in municipio, pena una sanzione. Per telefono viene subito chiamata un’ambulanza preposta ai casi di vaiolo, che si occupa di tutte le procedure del caso, e così, nell’arco di poche ore, il malato è al sicuro in ospedale. La famiglia e gli abitanti della casa vengono messi in quarantena in ambienti confortevoli e la casa viene disinfettata da cima a fondo. […] Utilizzando questo sistema, la giunta comunale ha espresso l’opinione che la malattia viene debellata in modo pronto e completo a un costo esiguo.” (D.I.)
A Leicester il 23 marzo del 1885 ci fu una grande manifestazione contro l’obbligo vaccinale introdotto con i decreti nazionali inglesi del 1840 e del 1853. Dopo decenni di vaccinazioni neonatali e dei conseguenti danni subiti, i genitori cominciarono a rifiutare di far vaccinare i propri figli. La disobbedienza costava cara, tanti persero i loro beni perché non potevano pagare le gravi sanzioni e finirono in prigione. In seguito alla grande manifestazione del 23 marzo, la vecchia giunta fu destituita e quella nuova diede il via all’esperimento ribelle, assecondando le istanze degli antivaccinisti. Già nel 1887 il tasso di copertura vaccinale era sceso al 10% in città. E nonostante i malauguranti pronostici dei medici vaccinisti, Leicester rispose meglio alle successive epidemie di vaiolo rispetto ad altre città inglesi super vaccinate. Ma il “metodo Leicester” fu completamente dimenticato e messo da parte nonostante le evidenze riportassero il fatto che le misure igieniche e di oculato isolamento avessero dato buoni frutti.
Perché il governo accentrato dello stato dovrebbe essere accettabile in caso di epidemia? La coercizione, i ministeri, le leggi in questo campo sono improvvisamente diventati un bene? Ci siamo già dimenticati che l’emergenza Covid ha sedato nel sangue diverse rivolte carcerarie nel 2020? L’esempio di Leicester non mostra ancora una volta che i problemi, di qualsiasi natura essi siano, occorre prima di tutto assumerseli in prima persona al di là dei titoli di competenza e magari risolverli a livello locale? A Leicester furono i genitori a ribellarsi all’autorità sanitaria e statale, dei non esperti di medicina guidati dalla dolorosa osservazione dei gravi danni procurati ai loro figli e dal sacrosanto dovere di proteggerli.
Mi preme sottolineare che l’incidenza del vaiolo era contabilizzata sul numero dei malati, cioè su coloro che mostravano i sintomi della malattia, non si andava a scovare il virus anche sui “presunti sani” con test preventivi.
“Quando una società si organizza in funzione di una caccia preventiva alle malattie, la diagnosi assume allora i caratteri di una epidemia. Questo supremo trionfo della cultura terapeutica tramuta l’indipendenza della normale persona sana in una forma intollerabile di devianza.” (N.M.)
L’epidemia di Covid è gestita attraverso l’utilizzo massiccio di test preventivi, questi simpatici tamponi, allo scopo di isolare anche chi non presenta sintomi. Il loro impiego presuppone che chiunque debba dimostrare in continuazione di essere sano ossia di non ospitare il virus. Che io sappia, questa procedura non ha precedenti, si basa su test la cui validità non è certissima (si parla in continuazione di falsi positivi o di falsi negativi) ma soprattutto i dati epidemici si basano sul numero dei tamponi effettuati, non su chi si ammala, ossia su chi presenta sintomi. Questa indagine preventiva nutre l’epidemia, fa l’epidemia, e contro ogni buon senso cambia l’idea profana della malattia:
Stamattina al risveglio non mi sento bene, misuro la febbre, ho 38 e mezzo, capisco di essere ammalato e quindi resto a casa finchè non guarisco.
No, non funziona così: stamattina devo andare a fare il tampone perché domani vorrei partecipare a una cerimonia pubblica. Sto bene, mi sento un leone ma devo dimostrarlo, forse nella mia criniera si annida un virus, sono un presunto malato.
Questo tipo di prevenzione presume che finché il tampone non attesta la mia salute, io non la posso esprimere né valutare con le mie sole facoltà. Questa procedura tecnico-burocratica non è nuova, ci serve un certificato di buona salute anche prima di iniziare percorsi vari, quello che è nuovo qui è il fatto che venga usata a tappeto nel corso di un’emergenza sanitaria.
In passato, in caso di epidemia si è ricorso direttamente al vaccino, consigliato o obbligatorio, come metodo di prevenzione. Oggi abbiamo anche quest’altro dispositivo che rende la situazione ancora più ammorbante e stressante: viviamo in un lazzaretto diffuso dal quale usciamo solo al prezzo di un test e solo per 48 ore per poi ritornarci e ricominciare daccapo.
La maggior parte della gente subisce questi dispositivi sanitari, tamponi e vaccini, perché è obbligata a farlo, perché terrorizzata, perché impreparata, perché dipendente, perché succube dell’apparato medico-statale-scientifico-economico-educativo.
La maggior parte della gente si sottopone alle cure mediche che i vari specialisti propinano senza essere minimamente informata sulla composizione delle migliaia dei pillole e sulle loro controindicazioni. Ma cosa ancora più grave, sono gli stessi medici a ignorarle.
I medici, così come gli altri professionisti-esperti, sono educati a ingurgitare e ad accumulare nozioni che serviranno a sostenere il sistema economico industriale esistente dal momento che “L’educazione in funzione di una società fondata sul consumo equivale alla formazione del consumatore.” (P.S.B.) C’è chi ne è cosciente ma va avanti lo stesso e chi a volte venendo a trovarsi di fronte a un muro di illusioni, interessi e falsi miti comincia a pensare, a indagare, a spulciare documenti, libri e riviste: “Scoprii, inoltre, quanto la scienza possa compiere errori atroci. È facile venir catturati da un sistema di convinzioni costruito su fondamenta traballanti e difettose. **Quanto spesso crediamo a qualcosa, non perché abbiamo fatto ricerche approfondite, ma solo perché l’autorità ci dice che è la verità?” (D.I.)
Qualsiasi sapere che non si riesce a tradurre nella semplicità della lingua di tutti diventa dogma. Qualsiasi proposizione se viene accettata come un dogma, senza essere analizzata e compresa con le proprie forze intellettive e intuitive, anche se è la più giusta e inoppugnabile, rende sudditi.
La concezione dello stato, del potere di pochi sulla maggioranza, nelle sue prime arcaiche forme si fondava sul monopolio del sapere da parte di una ristretta casta di sacerdoti. Oggi il sapere è diventato, oltre che monopolio di svariate caste, sempre più oscuro, inaccessibile, intraducibile per manifesta volontà e per la sua stessa natura tecnicista e specialistica. E la Medicina non fa eccezione.
Ci consegniamo così nelle mani di estranei laureati e specializzati nella cura spezzettata del corpo dalla culla alla bara, senza quasi mai afferrare il significato delle diagnosi e delle relative cure, spesso anzi subendole e non mettendole mai in discussione perché alla fine che cosa vuoi capirne tu profano del tuo stesso corpo, del tuo dolore, della tua sofferenza, della tua malattia, del tuo disagio? L’uomo è una macchina tra le altre, se si rompe la lavatrice chiamiamo l’idraulico, se si rompe il corpo chiamiamo il dottore.
“In tutte le società lo sviluppo ha avuto il medesimo effetto: ognuno si è trovato irretito in una nuova trama di dipendenza nei confronti dei prodotti sfornati dal medesimo tipo di macchine: fabbriche, cliniche, studi televisivi, istituti di ricerca.” Prima la gente era in grado “di soddisfare quasi tutti i propri bisogni in un contesto di sussistenza; dopo la plastica ha sostituito la ceramica, le bevande gassate l’acqua, il Valium la camomilla, i microsolchi la chitarra” (P.S.B.)
La critica allo stato industriale e ai suoi sostenitori, ossia agli esperti che lo nutrono e che indubbiamente sono più numerosi rispetto a coloro che lo ostacolano (di oppositori ce ne sono stati diversi nel tempo, certo non tutti guidati dalla stessa determinazione esplosiva del matematico Theodore Kaczynski) dovrebbe portare non solo a lottare contro la polizia, le grandi opere, le carceri ma anche contro l’azione apparentemente benefica della scolarizzazione e della medicalizzazione coatte al di là di questo momento storico ma a partire dalle contraddizioni emerse proprio in questo momento storico.
Le critiche alla gestione pandemica dovrebbero portare a una riflessione su tutto l’apparato sanitario per poter magari arrivare a comprendere che la medicalizzazione della vita è espropriazione dei corpi da parte dello stato.
Fin dall’inizio dell’età moderna lo stato cercò a suon di leggi e repressioni violente di strappare dalle mani delle donne la gestione della maternità e del controllo delle nascite, per ovvi motivi economici di accumulazione di forza-lavoro. La questione dell’aborto rientra in questo fenomeno che se non viene preso in considerazione inficia ogni tipo di analisi con il rischio di cadere nella superficialità di posizioni moralistiche di stampo cattolico, come nel caso del libretto a suo tempo scritto da Silvia Guerini. Nelle sue pagine è la questione etica che prevale e non la critica alla gestione medica dei corpi delle donne, è l’assassinio del feto a essere sotto accusa e non l’assassinio dell’autonomia dell’individuo sostituita dalla morale unica dello stato e della chiesa.
Per farla finita con la propaganda del “eh ma prima le donne morivano di parto, menomale per i medici e per gli ospedali”, è bene riportare alcuni esempi dei danni iatrogeni del sistema sanitario.
Il primo riferimento d’obbligo va fatto all’epidemia di febbre puerperale, “una patologia mediata dall’arroganza dei medici” (D.I.) che si sostituirono alle levatrici nella pratica ostetrica, causando la morte delle partorienti dopo atroci sofferenze. Questo succedeva perché i medici non usavano lavarsi le mani dopo aver toccato altri pazienti o addirittura cadaveri. “I dottori Oliver Wendell Holmes negli Stati Uniti e Ignaz Semmelweis in Austria […] tentarono di convincere i colleghi medici a lavarsi le mani e a seguire di più la pratica ostetrica secondo la tradizione delle levatrici. Entrambi furono ignorati e perfino attaccati professionalmente per le loro idee. Dopo anni di angoscia, vedendo le donne morire inutilmente, lasciarono disgustati il campo della medicina. Holmes divenne uno scrittore. Nel 1865 Semmelweis venne fatto entrare con l’inganno in un manicomio”, (D.I.) dove trovò la morte.
Tra il ’700 e la metà del ‘900 la febbre puerperale lasciò “milioni di bambini orfani di madre, condannati a morire o a vivere una vita di malnutrizione e malattia, spesso costretti a lavorare in miniera, in fabbrica…”, (D.I.) fatto questo che non viene mai contabilizzato nell’analisi delle epidemie che in questo lasso di tempo colpirono il mondo (Usa, Europa, Nuova Zelanda).
Un altro esempio della nocività dell’ingerenza medica in questo campo è l’uso del forcipe durante il parto, l’ennesimo strumento di morte e invalidità di cui penso sia inutile anche discutere.
Il mito della scienza medica dovrebbe essere sfatato affinché si capisca la sua naturale collisione con l’avvento dello stato capitalista.
“La professionalizzazione stessa della medicina nasce dal bisogno di controllo sociale, il che significa che essa non solo doveva distruggere per affermarsi certe pratiche popolari, **ma si sviluppa proprio per distruggerle.* Disciplinare il proletariato, infatti, voleva dire espropriarlo di ogni conoscenza e strumento, che gli permettesse di esercitare un controllo autonomo anzitutto sul suo corpo, sostituendo ad essi un patrimonio di conoscenze scientifiche ‘inoppugnabili’ che si ergeranno contro i proletari come una forza estranea antagonistica.” (I.G.C.)*
La nascita della scienza moderna e di quella medica in questo caso non può essere disgiunta dall’avvento del capitalismo e degli stati nazionali.
Vediamo tutt’ora agire questa stessa dinamica di espropriazione nella continua e mai interrotta colonizzazione delle terre appartenenti alle popolazioni non ancora soggette allo sviluppo. Ovunque nel mondo il fenomeno dell’accaparramento delle terre da parte di multinazionali e stati (in inglese land grabbing) costringe le popolazioni native del Sud America, dell’Africa e dell’India ad abbandonare le terre ancestrali e di conseguenza anche il loro sapersi curare, cibare e riparare nel quadro di un’economia di sussistenza che è allo stesso tempo conservazione del territorio.
“Nonostante numerosi studi abbiano dimostrato quanto non vi sia migliore capacità di conservazione della natura di quella dei popoli indigeni” (I.P.T.), l’ecologia istituzionale continua ad appoggiare politiche capitaliste che nascondono dietro alla definizione “aree protette” tutta la loro carica assassina. Sotto il pretesto della protezione delle foreste e della fauna sono stati istituiti diversi parchi nazionali: se ai nativi viene impedito di accedervi e a volte vengono anche uccisi con la scusa della lotta al bracconaggio, ai turisti invece viene concesso pagando di fare un tour su fuoristrada in mezzo alla “natura selvaggia” che fotografata potrà riempire l’ennesimo album di viaggio prima del ritorno alla giungla cittadina.
“Il modello di protezione ambientale detto ‘conservazione – fortezza’ ha avuto origine in Nord America, ed è stato adottato per la prima volta in quelli che oggi conosciamo come i Parchi nazionali Yosemite e Yellowstone (Corry, 2010). Quando furono creati, nella seconda metà dell’800 i Nativi Americani che vivevano da secoli in quei territori furono sfrattati violentemente, costretti in riserve e ridotti in povertà. Chi si opponeva veniva ucciso.”
“Mentre gli indigeni e i locali venivano etichettati come “bracconieri” se cacciavano per alimentarsi, l’uccisione degli animali per sport o per piacere da parte dei colonizzatori bianchi (La “caccia al trofeo”) era consentita e in molti casi definita, anche oggi, uno strumento utile all’attività di conservazione (Howard, 2013; Wcs, 2018).” (I.P.T.)
Nel colonialismo verde è ancora l’arroganza degli esperti occidentali ad agire: la tecnoscienza capitalista è il mezzo migliore per poter vivere bene su questa terra, l’ideologia e gli interessi economici viaggiano insieme. Invadono le terre indigene per interesse ma agli ignari sudditi occidentali viene detto che è per proteggere quel che resta della “natura selvaggia”. Nel frattempo gli indigeni sfrattati vanno a popolare le aree vicino ai parchi o le periferie urbane, peggiorando le loro condizioni psicofisiche, igieniche, spirituali. Queste immagini di miseria ci arrivano attraverso i mass media e noi ci convinciamo che quei poveracci vivono male non perché hanno perso tutta la loro cultura e natura ma perché non hanno l’elettricità, le medicine, le case e l’istruzione giuste. Prima gli si ruba la zappa e poi andiamo lì a vendergli il trattore, prima viene creato il bisogno e poi venduto a caro prezzo il rimedio. Sul canale Youtube di Survival International numerose sono le testimonianze dirette degli scacciati e delle donne che non avendo più una dimora abitano in baracche fatiscenti e non avendo più l’accesso alla foresta non possono raccogliere gratuitamente la legna, i frutti, le erbe medicinali per sé e per la propria famiglia.
L’espropriazione del sistema economico capitalista trasforma così l’autonomia creativa e naturale delle comunità in morbosa dipendenza da castrazione. È così che la libertà che si definiva direttamente, in un mondo dentro alla natura, come risposta autonoma e creativa alle necessità della vita, si trasforma in richiesta di diritti al padre stato: diritti che mutano i beni che la natura ci offre in merci.
“ ‘Diritto all’aria pura’ significa perdita dell’aria pura come bene naturale. Il suo passaggio a statuto di merce e la sua ridistribuzione ineguale. Non bisognerebbe considerare come progresso sociale obiettivo […] quello che è un progresso del sistema capitalista – cioè la trasformazione progressiva di tutti i valori concreti e naturali in forme produttive cioè come fonte di:
– profitto economico
– privilegio sociale. ” (L.S.C.)
Qualcuno potrebbe forse storcere il naso per l’uso indiscriminato che qui viene fatto dei termini “naturale” e “natura”. La dicotomia tra cultura e natura fa parte del pensiero occidentale da tempo ma si è trasformata in una guerra totale contro la madre terra solo con l’avvento del sistema tecno-industriale. Natura è ciò che ha la capacità di nascere e quindi di autoalimentarsi, di autocurarsi, di autodisciplinarsi in una prospettiva simbiotica di tutte le sue parti. È proprio in questa prospettiva simbiotica che le comunità umane hanno vissuto per millenni adattandosi alle differenti condizioni ambientali del globo e creando migliaia di culture e di linguaggi. La svalutazione della natura e degli esseri umani che ne fanno parte si è imposta con l’avvento del capitalismo che ha mercificato e sta ancora mercificando ciò che prima era semplicemente vivo, dato, abbondante e alla portata di tutti. Certo, non proprio di tutti, il patriarcato è molto più antico del capitalismo, risale all’arrivo in Europa dei Kurgan nel IV millennio a.C. secondo la Gimbutas o all’avvento della prima forma statale, l’impero Sumero, nel III millennio a. C. secondo Ocalan. In altri termini non sarebbe corretto affermare che prima dell’età moderna non ci siano stati la schiavitù, la sottomissione della donna, la violenza di stato e tutto ciò che essa comporta. Tra il ‘500 e il ‘600 però il patriarcato ha partorito il suo figlio più mostruoso ossia il capitalismo, grazie all’opera dei suoi precursori più fecondi, a partire da Descartes e Galileo. Se con il primo il corpo animale e la natura tutta diventano un mero meccanismo automatico e privo di pensiero (la vivisezione e l’anatomia cominciano dai suoi esperimenti sugli animali; in quanto privi di anima erano secondo il dotto incapaci di provare dolore), con il secondo la scienza si emancipò progressivamente dai limiti della terra che diventò così un immenso laboratorio nel quale ricreare condizioni ed elementi estranei alla sua natura.
“Furono necessarie molte generazioni e qualche secolo prima che il vero significato della rivoluzione copernicana venisse alla luce con la scoperta del punto di Archimede. Solo noi, e solo da qualche decennio, abbiamo iniziato a vivere in un mondo interamente determinato da una scienza e una tecnologia in cui la verità oggettiva e la competenza pratica sono derivate da leggi cosmiche e universali anziché terrestri e ‘naturali’, e dove la conoscenza acquisita scegliendo un punto di riferimento extraterrestre, è applicata alla natura terrestre e alla tecnica umana.” (V.A.). In altre parole è come se la terra fosse diventata la cavia di uno scienziato che agisce in un laboratorio che ormai ha i limiti dell’universo, uno scienziato che non ha più i piedi per terra perso com’è nell’infinito campo delle sue astrazioni.
Ma il punto di Archimede, questo punto di osservazione che si perde nell’universo, è solo una finzione che si svela nel momento in cui questo topo da laboratorio apre gli occhi e contemplando i risultati delle sue accidentali applicazioni sulla via della pura conoscenza si accorge che la sua volontà di sapere ha favorito la volontà di potenza dello stato a cui appartiene o a cui si è venduto e non certo il miglioramento della condizione umana.
Quanta beffarda ingenuità nelle parole di pentimento tardivo di alcuni di questi premi Nobel che si risvegliano all’etica dopo aver contribuito all’edificazione del disastro: “Se avessi saputo ciò che stavano per combinare avrei fatto il calzolaio.”, scriveva Einstein dopo le catastrofi atomiche della II guerra mondiale.
Gli appelli alla moderazione nell’uso degli strumenti da parte degli scienziati sono sempre rivolti ai politici ovviamente, sono sempre questi ultimi i colpevoli del cattivo uso degli strumenti e mai i loro inventori. La scienza non si pone limiti etici, è al di là del bene e del male, è neutrale, è sacra, è solo ricerca di verità sul mondo. Ma anche questa è una finzione se nella realtà dei fatti è la
sete di profitto che spinge e ha spinto gli scienziati-inventori a vendersi al miglior offerente attraverso i brevetti e non lo spirito di verità. Insomma, questi medici, ricercatori, studiosi, professionisti vari, sono veramente gli eroi disinteressati dipinti dalla favolistica mediatica, sono veramente dei missionari che si immolano sugli altari della scienza per il bene dell’umanità?
La scienza non è forse la nostra nuova religione, quella che ci salverà da noi stessi, dalle nostre innate imperfezioni che potranno essere finalmente rimosse attraverso la manipolazione genetica della vita, ossia dell’ “ultimo legame per cui l’uomo rientra ancora tra i figli della natura” (V.A.)?
La verità è che queste domande non si possono più porre nelle nostre società super tecnologiche, l’abbiamo già perso quell’ultimo legame dal momento che utilizzando il termine “natura” ci sentiamo di fare un torto a qualcuno, o pensiamo di passare per “essenzialisti” retrogadi, fascisti e omofobi.
“Bisogna quindi riconoscere che l’implementazione del Green Pass comporterà l’accelerazione dell’abbandono della tradizionale nozione ippocratica di salute come dono naturale ricevuto, e l’adesione alla nuova nozione psico-fisica di salute come costrutto sociale, in cui il “danno a terzi” è determinato dalle opportunità tecnico-scientifiche e non più dalla natura.” (CNB)
Dal momento che la natura è persa ci tocca vivere in un mondo completamente tecnico, dove la comunione è diventata comunicazione, dove la conoscenza è diventata informazione, dove il rispetto della differenza passa dai simboli di una tastiera, dove la comunità è diventata community, dove la cura è diventata terapia, dove l’apprendimento è diventato scolarizzazione perpetua, dove la libertà diventa diritto, dove la riproduzione è diventata un affare di bioingegneria, dove ogni aspetto della vita e della cultura è mediato dalla tecnica, dove il pensiero fatica a esprimersi nella confusione totale dei significati che si perdono sulla strada di una civiltà completamente artificiale.
“L’ambiente tecnico non potrebbe esistere se non si appoggiasse e ricavasse le proprie risorse da quello Naturale (Natura e Società). Ma mentre lo esaurisce e lo estenua, lo elimina in quanto ambiente e vi si sostituisce.”, (I.S.T.) afferma Ellul. L’ambiente naturale qui definito comprende tutti gli elementi naturali della terra, dal filo d’erba all’essere umano, uniti da quell’ultimo legame di cui sopra, la vita. Elementi che nelle mani delle varie scienze diventano semplici risorse, materiali di ricostruzione di un mondo tecnico che si estende dalle megaopere di viabilità supersonica ai vegetali geneticamente modificati, dagli impianti nucleari a quelli uterini, dalle reti informatiche all’allevamento intensivo, dall’agrochimica alla chimica farmaceutica, un mondo macchinizzato dove la prima macchina inventata dal capitale, quella umana, può adattarsi solo a costo di continue chirurgie.
In questo mondo ci possiamo vivere con inquietudine o entusiasmo, dipende dai punti di vista o dalle prese di posizione o dalla capacità personale di gestire i vari gradi di dissociazione o rimozione.
Fidarsi di una persona, che sia un medico, un insegnante o un prete non significa fidarsi delle istituzioni che pur li condizionano, la fiducia si dà o si costruisce nell’incontro e nella conoscenza di qualcuno, nell’ascolto e nella comprensione, nella possibilità di valutare le parole e gli atti di chi mi sta di fronte. Tenendo comunque presente che difficilmente troveremo medici, insegnanti o preti ribelli, poiché difficile è sputare nel piatto dove si mangia, ci sono troppi interessi in ballo. Eppure in questo periodo in tanti casi neanche il movente economico riesce a impedire la disobbedienza, anche se varie sono le ragioni della renitenza, i discorsi sulla libertà di cura si mischiano a disegni complottisti di vario genere.
Il dato è che comunque tante persone rispondono male alla coercizione medica imposta dal governo: sono tutti di Forza Nuova? Come mai gli anarchici, ossia quelli che sono contro ogni tipo di governo imposto dall’alto non si esprimono, men che meno nelle piazze? E gli antispecisti dove sono andati a finire, non lo sanno che gli studi sperimentali sui vaccini e su tutti gli altri farmaci uccidono milioni di animali ogni anno? E “il corpo è mio e me lo gestisco io” a che cosa si riferiva tanto tempo fa, care femministe, solo al vostro utero? Siamo proprio sicuri che un corpo in transizione sia l’espressione della sua libertà e non l’ennesima espropriazione? Non sarà che siamo troppo imbrigliati in questo sistema da non riuscire più a criticarlo e quindi anche a colpirlo?
La crisi è un’opportunità per riflettere, per rimettere in questione, per ragionare sulla realtà, e questa che stiamo vivendo è una crisi profonda che scuote, spacca, divide. È giunto il momento di scannarsi ma con i discorsi, non con gli slogan e gli insulti, fino in fondo.
Le citazioni sono tratte da questi testi:
(D.I) – Malattie vaccini e la storia dimenticata [Dissolving Illusions], S. Humphries e R. Bystrianyk, 2018
(N.M.) – Nemesi medica, I. Illich, 1977
(P.S.B.) – Per una storia dei bisogni, I. Illich, 1981
(I.G.C.) – Il grande Calibano, S. Federici e L. Fortunati, 1984
(I.P.T.) – I padroni della terra, rapporto sull’accaparramento della terra 2021: conseguenze su diritti umani, ambiente e migrazioni a cura di A. Stocchiero di FOCSIV
(L.S.C.) – La società dei consumi, J. Baudrillard, 1970
(V.A.) – Vita activa, H. Arendt, 2014
(I.S.T.) – Il sistema tecnico, J. Ellul, 2009
(C.N.B.) – Parere Comitato Nazionale di Bioetica n. P141 del 30 aprile 2021
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