#anarchismo

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Op. Sibilla - "Chiacchere e solidarietà", comunicato in solidarietà

Il sistema democratico è il migliore in cui si possa desiderare vivere: tutte le libertà sono in esso garantite. Mettiamo ad esempio la libertà di stampa e quella di espressione; in democrazia è possibile dire e stampare tutto, a patto che sia quello che il sistema democratico permette di dire e stampare.

Uno dei massimi garanti di queste libertà si può rintracciare nella Pubblica Ministera Manuela Comodi, della procura di Perugia, la quale in una brillantissima operazione di polizia ha sguinzagliato i suoi cani da guardia – i carabinieri del ROS – a perquisire le case di numerosi anarchici in Italia, alla ricerca, nientemeno, di pubblicistica anarchica! E, pensate un po’, è anche riuscita a scovarla… A dire il vero non è stato neanche tanto difficoltoso: era un po’ come cercare testi di filosofia in casa di un filosofo o pennelli nel garage di un imbianchino…

In realtà questo fine segugio del democratico Stato, non cercava pubblicistica anarchica in generale, ma un giornale in particolare, Vetriolo, in cui, tra le altre cose, si parla della necessità e giustezza, per gli anarchici, di attaccare il Dominio, e di conseguenza uomini e cose che ne sono la diretta emanazione. È un discorso che in realtà molti anarchici portano avanti, nella loro pubblicistica e nella loro vita, da circa un secolo e mezzo. Come meravigliarsi del resto? Cos’altro si può pensare di fare per mettere fine allo sfruttamento che, da secoli, i padroni, gli Stati, gli economisti e compagnia brutta, attuano nei confronti degli esclusi da qualunque tipo di vita dignitosa? Cos’altro si può pensare di fare per mettere fine alle guerre, allo sfruttamento del pianeta, alla sofferenza umana ed animale; per fermare progetti di morte come il nucleare, la trasformazione dell’essere umano in macchina, ed innumerevoli altre questioni di cui sono responsabili lo Stato, l’Economia, l’industria, la tecnologia, se non attaccarne le cose e gli uomini direttamente responsabili? È un discorso innanzitutto etico, che ci sentiamo assolutamente di condividere.

E non solo noi. È un discorso semplice, che nel profondo dei loro cuori molte persone condividono; quando sul lavoro o nelle loro chiacchiere da bar affermano che certa gente, quella responsabile delle loro pessime condizioni di vita e del loro sfruttamento bisognerebbe ammazzarla tutta, o che il Parlamento bisognerebbe farlo saltare per aria quando sono tutti dentro perché è solo un covo di parassiti con stipendi da nababbo mentre fuori molti muoiono di fame. Certo, spesso sono solo discorsi da bar dettati da uno sfogo, dalla rabbia di una vita misera, mentre gli anarchici talvolta alzano veramente il braccio contro coloro o ciò che identificano come nemico.

Eppure, seguendo la logica contorta di questa Pubblica Ministera, magari un giorno si apriranno le indagini anche contro coloro che fanno questa chiacchiere da bar, e siamo sicuri che, durante le perquisizioni, nelle loro case verranno trovate – a prova del loro piano criminale – centinaia di tazzine da caffè…

Ci sarebbe solo da ridere se un compagno già in carcere non avesse ricevuto un altro mandato d’arresto, e non fossero stati disposti un altro arresto domiciliare e quattro obblighi di dimora. A loro va la nostra solidarietà, senza nessun vittimismo e convinti che bisogna continuare a dire e fare quanto da sempre affermiamo.

La libertà che sogniamo e là in fondo.

Addio Lugano bella.

fonte: disordine.noblogs.org

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Op. Sibilla - "Sibillazioni", comunicato di solidarietà

SIBILLAZIONI

Sull’operazione anti-anarchica denominata “Sibilla”

Tutto questo deve finire. Per sempre. E se lo Stato e i padroni sono i nostri viventi nemici, allora risulta evidente più che mai il ruolo storico dell’anarchismo come la vanga con cui gli scaveremo la fossa.

Prima le buone notizie , Ottone degli Ulivi

Prima dell’alba dell’11 novembre 2021 ci sono state in Italia decine e decine di perquisizioni in case di compagni e compagne anarchici a Genova, Carrara, Pisa, Cremona, Bergamo, Roma, Perugia, Viterbo, Lecce, Taranto, Cosenza e Cagliari. Le indagini svolte dai carabinieri del ROS, su ordine della Procura di Perugia, si concentrano sulle sobillazioni anarchiche e in particolar modo sul giornale Vetriolo e a “contorno” i siti di contro-informazione come roundrobin.info e malacoda.noblogs. Il reato principale che viene contestato ai compagni e alle compagne è quello di aver costituito e/o partecipato a una associazione sovversiva con finalità di terrorismo (270bis), siccome, secondo la sbirraglia, tramite le pubblicazioni sopra citate i compagni/e avrebbero istigato a commettere atti di terrorismo contro lo Stato.

Oltre alle decine di perquisizioni in tutta la penisola, 6 le misure cautelari: l’”arresto” di Alfredo, già detenuto nel carcere di Terni, un compagno sottoposto agli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e altri 4 con obbligo di dimora e firme.

Non ci stupisce in alcun modo la repressione da parte dello Stato nei confronti di parole chiare e decise, e ancor meno ci stupisce in questo momento di timore di dissesti sociali. La creazione del nemico interno è funzionale a richiamare a sé la lealtà del popolo verso il suo re – lo Stato – lo stiamo vedendo chiaramente con i “no vax”: lo Stato proprio in questi giorni sta colpendo le piazze che si muovono contro il lasciapassare, impedendo manifestazioni nei luoghi in cui il capitalismo ha necessità di fiorire.

Come anarchici siamo e restiamo nemici interni ed esterni, di sopra, di sotto, in direzioni caoticamente ragionate, di qualsiasi autorità. La complicità con le parole espresse contro i nemici, che siano essi funzionari di Stato o del capitalismo, incluso quello militarista, è allora per noi chiara.

Come al solito nella mente giuridica degli inquirenti l’unica organizzazione possibile è quella verticistica, gerarchica. Non capiscono, o meglio, non si sentono di esprimere pubblicamente che l’imprevedibilità degli anarchici nella loro disorganizzazione non è sicuramente un’organizzazione, figurarsi se esistono mai capi e gregari.

Restiamo al fianco di chi viene colpito/a dalla repressione perché sceglie di attaccare, di non nascondersi dietro il bisogno di farsi amare dalle masse con parole dolci e accomodanti, di diffondere parole di compagni colpiti da decenni di carcere.

Viva l’anarchia!

Anarchici e anarchiche di Carrara

11/11/2021

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Op. Sibilla-comunicato di solidarietà

Per rompere con lo sfruttamento e l’oppressione occorre che la dignità offesa e calpestata si trasformi in azione, perché crediamo fermamente che “libertà” non è affatto il diritto e il dovere di obbedire all’autorità, non è un’esistenza trascorsa in ginocchio. La libertà risiede – qui ed ora- nella sfida contro ogni potere, nel selvaggio desiderio della distruzione pratica e concreta dall’autorità.

Vetriolo, numero 5

All’alba di Giovedì 11 ottobre, scatta l’operazione “Sibilla”, coordinata dalle Procure di Perugia (Pm Manuela Comodi) e Milano (PM Alberto Nobili) a causa della quale in varie città italiane sono stati perquisiti alcuni compagni e compagne. Sono stati i carabinieri del ROS ( al comando del Generale Pasquale Angelosanto) ad eseguire i provvedimenti, disposti dal GIP Valerio D’Andria, per cui 6 compagne e compagni anarchici sono stati raggiunti da un’ordinanza applicativa di misure cautelari e indagati di istigazione a delinquere aggravata dalla finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico.

L’inchiesta si basa su 5 anni di indagini relative alla pubblicazione del giornale anarchico Vetriolo, aperiodico che ha sempre criticato, senza mezzi termini, lo Stato e il Sistema Capitalista, con analisi puntuali e ha dato voce ai prigionieri anarchici, pubblicando i loro scritti.

E’ evidente che questa ennesima operazione repressiva vorrebbe mettere a tacere le voci di critica radicale all’esistente. In un contesto sociale come quello odierno, la svolta autoritaria in atto si manifesta ogni giorno. Lo abbiamo visto con le misure repressive del primo lockdown, con i coprifuochi, il divieto di assembramento e la detenzione domiciliare di milioni di persone. Lo vediamo nelle strade sempre più militarizzate, sui posti di lavoro con il ricatto del certificato verde, ai confini degli stati come sta accadendo in Bielorussia, dove i migranti vengono respinti dall’esercito polacco, a difesa della fortezza Europa, e lasciati morire di fame o di freddo.

Noi siamo consapevoli che tutto questo non cesserà di esistere, anzi andrà sempre più ad acuirsi. Per questo sono necessari analisi, determinazione e pratiche all’altezza dei colpi che il Capitale sta sferrando.

Se lo stato e magistratura con queste montature/inchieste vogliono isolare compagni e compagne, dall’altra parte troveranno sempre individui pronti a battersi per portare avanti le stesse pratiche ed idee rivoluzionarie.

Solidarietà a Vetriolo, al Circolaccio e ai nostri amici e compagni indagati e perquisiti!

Morte allo stato e al capitale!

Liberi tutti/e!

Solidali genovesi

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NIENTE SARÀ PIÙ COME PRIMA, PER VOI

«Mi piace sottolineare che in tutti i casi più gravi le istituzioni si sono dimostrate compatte: magistrati, prefetti, questori e tutte le forze dell’ordine sono intervenute senza esitare rendendo ancora più determinato il volto dello Stato di fronte agli atti delinquenziali che si stavano consumando». Le parole con cui l’ex Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha rivendicato in parlamento la strage nelle carceri italiane del marzo 2020, possono in realtà essere applicate a tutto quello che è successo in questi due anni.

Milioni di persone hanno potuto finalmente osservare il vero volto dello Stato. Prima ci hanno chiuso in casa per tre mesi, poi è stata la volta del coprifuoco notturno, delle chiusure regionalizzate, del cosiddetto semi-lockdown (quello in cui da casa potevamo uscire, sì, ma solo per andare a lavorare). Infine siamo arrivati alla tanto agognata «ripartenza».

La ripresa economica, costi quel che costi, non è certo un «ritorno» della libertà e della felicità per gli individui, ma la pretesa di una totale abnegazione nei confronti delle necessità del mercato. C’è un filo rosso che collega episodi drammatici come la strage del Mottarone, i sei morti al giorno sul lavoro, le aggressioni ai facchini in sciopero e l’imposizione del green pass a tutti i lavoratori: questo filo rosso si chiama ripartenza dell’economia capitalista. La sola cosa a cui sono interessati è che l’economia non si fermi di nuovo, che non ci siano focolai nelle aziende. La macchina non deve più fermarsi, piuttosto tagliano i freni. La macchina non deve rallentare, piuttosto ci investirà.

Sono gli stessi gran signori della Confindustria che nel febbraio del 2020 hanno fatto lobbing per tenere le fabbriche aperte, che sminuivano la gravità del virus, che insieme ai sindaci democratici di Milano e Bergamo dicevano che non ci si poteva fermare. Gli stessi che oggi ci vogliono imporre il green pass. Che dignità hanno questi signori per darci degli irresponsabili, per dire, loro a noi, che siamo i «negazionisti»?

Il green pass non ha niente a che fare con la crisi sanitaria. In realtà non ha niente a che fare nemmeno con i vaccini (qualsiasi cosa ne pensiamo). Non è vero che il green pass serve a forzare la popolazione verso la campagna vaccinale. È esattamente il contrario: è proprio questa un pretesto per forzarci a scaricare il green pass. Il malcelato obiettivo del governo è quello di sfruttare la pandemia per un’inedita forma di svolta autoritaria.

In questi anni i padroni hanno ottenuto tutto: hanno continuato a produrre, pretendendo che restassimo a casa quando non dovevamo andare a lavorare per loro; hanno ottenuto lo sblocco dei licenziamenti, imponendo Mario Draghi, già bieco burocrate della BCE e massacratore della Grecia, a capo del governo; ci stanno affamando con gli aumenti delle bollette e del carburante, modo indiretto per tagliare i nostri salari. Davanti a questa crisi strutturale la sola risposta che lo Stato può dare è l’inasprimento della repressione, il rafforzamento del controllo sociale.

A questo serve il green pass!

Il green pass non è una misura temporanea: nei loro piani, è uno strumento di controllo destinato a rimanere. Davanti a questo odioso dispositivo non possiamo permetterci compromessi o vie di mezzo (come i tamponi gratuiti). Il problema non è ottenere il green pass pur preservando la nostra fantomatica «libertà di scelta». Va sabotato con ogni mezzo questo infame strumento di controllo.

A questo inasprimento della repressione rispondiamo inasprendo lo scontro. In tanti lo hanno capito, scendendo nelle strade senza leader e burocrati collaborazionisti del regime. Non sappiamo come andrà a finire questa lotta, sappiamo però che per milioni di sfruttati quanto accaduto da due anni a questa parte ha rappresentato una sorta di perdita dell’innocenza. In tanti hanno visto il vero volto dello Stato. Sono gli stessi analisti del regime a mostrarsi preoccupati della perdita di fiducia nei confronti delle istituzioni, della politica, della polizia, dei sindacati. Che questo fossato diventi incolmabile, che a sentirsi assediati da oggi siano loro. Che la sfiducia diventi conflitto.

All’inizio dell’emergenza ci hanno detto «niente sarà più come prima». È la sola cosa su cui non ci hanno mentito: per voi padroni e governanti, niente sarà più come prima. Non reclamiamo diritti, ardiamo d’anarchia.

#RoundRobin #Anarchist #News #Anarchism #Media #Anarchismo #Informazione #Italia #Anarchici

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Milano-attaccata sede PD

riceviamo e diffondiamo:

Milano-La notte fra il 7 e 8 ottobre sono state sfondate le vetrine della sede del Partito Democratico,sezione del quartiere Ortica.

Inutile spendere troppe parole su questo infame partito.Alla pari di tutti gli altri partiti,la sua linea ed azione di governo(in questi ultimi otto anni è il partito che ha maggiormente governato)tende a favorire l’elite ed a peggiorare le condizioni di vita dei meno abbienti.Inoltre,è uno dei principali fautori delle attuali restrizioni e del green pass,strumento di ricatto e discriminazione che impone la segregazione sociale a chi lo rifiuta.

Questa azione vuole lanciare un messaggio chiaro:intraprendere e sostenere una lotta imperniata sulla proliferazione di azioni dirette contro le istituzioni e chi ne tiene le redini.

Solidarietà attiva alle prigioniere e ai prigionieri anarchici sparsi in giro per il globo.

A chi non si arrende.A fianco di chi continua a credere nella rivolta e nella guerriglia anarchica.

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Originariamente pubblicato su: https://roundrobin.info/2021/10/milano-attaccata-sede-pd/

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Bologna - Aggiornamento sulle sorveglianze speciali richieste e date

AGGIORNAMENTO SULLE SORVEGLIANZE SPECIALI RICHIESTE E DATE A BOLOGNA

A circa due mesi dall’udienza del 12 luglio il tribunale si è espresso sulla proposta di applicazione della sorveglianza speciale per 7 compagne/i di Bologna: 6 i rigetti e un accoglimento.

Al nostro compagno Guido verrà applicata la sorveglianza per due anni con obbligo di dimora.

A pochi giorni dall’udienza il PM Dambruoso aveva presentato un’integrazione affinché il tribunale si esprimesse non solo, come da richiesta iniziale, sulla “pericolosità qualificata” per reati di terrorismo, ma anche sulla pericolosità generica. Ed è infatti sulla base di quest’ultima che la richiesta è stata accolta.

Stando alle motivazioni, sono le accuse mosse dallo stesso Dambruoso con l’ Operazione Ritrovo ad avere “spiccata rilevanza”, “prova della propensione ad atti di pericolo accentuato per la sicurezza e la tranquillità pubblica”. Ci si spinge addirittura nel merito di quell’inchiesta da cui, secondo i giudici, “emerge chiaramente” che il nostro compagno “è stato autore dell’incendio al ponte ripetitore, in località Monte Donato, nel dicembre 2018”.

Ad oggi, l’instancabile PM ha già presentato ricorso contro due dei sei rigetti e non escludiamo se ne possano aggiungere altri.

Tutta la nostra solidarietà va alle compagne e i compagni sottoposte/i a questa infame misura e a tutte/i quelle/i colpiti dallo Stato per aver attaccato questo mondo.

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Spoleto - L'Autunno sarà freddo copritevi!

L’AUTUNNO SARA’ FREDDO, COPRITEVI!

Spoleto, lunedì 25 ottobre

ORE 17 – Discussione sulle mobilitazioni in corso e su quelle che verranno

ORE 20 – Cena d’autunno

CIRCOLACCIO ANARCHICO SPOLETO

Viale della Repubblica 1/A

circolaccioanarchico@inventati.org

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Disponibile l'opuscolo "Tesi di filosofia della storia" di Walter Benjamin

La tradizione degli oppressi ci insegna che lo “stato di emergenza” in cui viviamo è la regola. Dobbiamo giungere a un concetto di storia che corrisponda a questo fatto. Avremo allora di fronte, come nostro

compito, la creazione del vero stato di emergenza. …

In realtà non vi è un solo attimo che non rechi con sé la propria chance rivoluzionaria – essa richiede soltanto di essere intesa come una chance specifica, ossia come chance di una soluzione del tutto nuova, prescritta da un compito del tutto nuovo. Ed è ciò per cui essa, per quanto distruttiva possa essere, si dà a riconoscere come un’azione messianica.

Walter Benjamin

Tesi di filosofia della storia

Contiene la tesi ritrovata da Giorgio Agamben nel 1981

Edizioni Monte Bove, collana Caffe’ S-Corretto (3)

costo 3 euro

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Francia - Supporto per Jennifer, donna trans e sex worker condannata

riceviamo e diffondiamo:

Comunicato in seguito al processo di Jennifer

Pubblicato il 11 luglio 2021 | Aggiornato il 21 luglio

Jennifer è una donna trans incarcerata nella prigione di Seysses dal giugno 2020, per aver accoltellato il suo stupratore per strada. Il suo processo si è svolto al Tribunal de Grande Instance di Tolosa il 10 giugno 2021. È stata condannata a 5 anni di reclusione, di cui 3 in carcere, e condannata a pagare quasi 10.000 euro di risarcimento. Il messaggio della corte è chiaro: non è così grave se vieni violentata, l’importante è che tu non reagisca.

Questo comunicato fa seguito al processo di Jennifer che si è tenuto al Tribunal de Grande Instance di Tolosa il 10 giugno 2021.

Per coloro che non conoscono la sua situazione: Jennifer è una donna trans che è incarcerata nella prigione di Seysses dal giugno 2020. Per 9 mesi è rimasta in isolamento nella prigione maschile, per il solo motivo della sua identità trans. Finora, come gruppo di supporto, avevamo scelto di comunicare solo riguardo alle sue condizioni di detenzione. L’accesso alle sale di visita era molto complicato per i suoi parenti, così come l’accesso ai prodotti della prigione, e sta ancora aspettando un lettore DVD ordinato in ottobre. La nostra priorità è stata quindi – per evitare ripercussioni durante la sua incarcerazione o il processo – di mantenere il legame con lei e di attivare tutte le leve possibili per rendere la sua vita quotidiana più dignitosa. In seguito al suo cambiamento di stato civile, è stata trasferita nel carcere femminile, e noi continuiamo a mobilitarci per sostenerla a

livello materiale ed emotivo.

Oggi, vogliamo rendere pubblica la nostra posizione sulla sostanza del caso e sul suo trattamento giuridico. Jennifer è stata imprigionata dopo aver accoltellato il suo stupratore per strada. È stata condannata a 5 anni di reclusione, di cui 3 in carcere, e condannata a pagare quasi 10.000 euro di risarcimento. Il messaggio della corte è chiaro: non è così grave se vieni violentata, l’importante è che tu non reagisca.

Nel giugno 2020, un uomo stupra Jennifer. Lei fa lavoro sessuale, lui le chiede una prestazione, lei rifiuta. Lui la picchia, la minaccia, la stupra. Le ruba le sue cose, i suoi soldi, il suo telefono.

Qualche giorno dopo, lei lo riconosce per strada. Lei grida “è lui che mi ha violentato” e ne segue una lotta a colpi di coltello, alla fine della quale l’uomo esce ferito e a rischio di vita. Mentre l’aggressore sostiene che Jennifer lo ha attaccato per soldi, i testimoni confermano la versione di Jennifer. Infatti, sia il telefono di Jennifer che quello dell’aggressore sono stati geolocalizzati nella stessa posizione: l’indirizzo dell’aggressore. “Inquietante”, ha detto il presidente. I magistrati erano d’accordo: non siamo qui per discutere dello stupro. Eppure questo è stato il punto di partenza di ciò che l’ha portata in tribunale quel giorno. I magistrati non erano lì per discutere dello stupro, ma ne sappiamo tutto fino alle ragioni del vestito che Jennifer indossava quella sera.

Il giudice ha sottolineato che Jennifer non si è presentata a fare denuncia alla stazione di polizia.

Cosa poteva aspettarsi da una denuncia, tra l’altro? I suoi avvocati hanno spiegato che Jennifer aveva cercato di presentare denunce diverse volte nel corso degli anni. Citano un amico: “Ci sono stati almeno dieci attacchi all’anno nel corso di 15 anni. Alla stazione di polizia ci insultano, ci dicono che “i trans sono fuori”. Jennifer non ha mai avuto accesso alla giustizia e al riconoscimento.

Inutile dire che nessuna denuncia è mai stata presa in carico. Jennifer è una lavoratrice del sesso trans che non è mai stata presa sul serio dalla polizia o dai tribunali per le violenza che subisce. Ma i magistrati hanno convenuto che non era quello il luogo per parlare di stupro, durante il processo di una donna che ha attaccato il suo stupratore.

Come non fare il collegamento con i casi di Kessy, una giovane donna condannata a 12 anni di prigione per aver colpito uno stalker, causandone involontariamente la morte, e Valerie, condannata per aver ucciso il suocero/marito dopo anni di violenza sessuale.

La posizione della magistratura è chiara: criminalizzare le donne che si difendono, quando la loro protezione e il risarcimento del danno subito non sono mai stati assicurati; la loro rabbia non è accettabile, la loro violenza non è accettabile, la loro autodifesa non è accettabile, la loro vendetta non è accettabile. Lo stupro di Jennifer non era il problema. Eppure lo stupro è un crimine, se c’è bisogno di ricordarlo.

Secondo il rapporto psichiatrico di Jennifer, lei è socialmente pericolosa e incapace di gestire la propria rabbia senza agire. Questa perizia psichiatrica è in linea con la classica retorica transmisogina: le donne trans sono in realtà uomini travestiti da donne, e come tali sono impostori pericolosi e violenti. Durante tutto il processo, i magistrati non hanno perso una sola occasione per ricondurre Jennifer al suo sesso assegnato alla nascita, per farne la colpevole ideale, pericolosa e incontrollabile. Poco importa che il punto di partenza di questa storia sia uno stupro, non è il suo stupratore ad essere pericoloso, né tutti gli autori delle numerose aggressioni sessuali che ha subito prima di questa. Secondo la perizia psichiatrica e il tribunale, è Jennifer ad essere pericolosa.

Eppure, nelle sole quattro ore del processo, non ha reagito al disprezzo, alla violenza e alla disumanizzazione che le sono state inflitte. Queste includevano la volgare transfobia di menzionare il suo nome assegnato alla nascita, di usare un vocabolario più che inappropriato, di ricordare che “all’epoca dei fatti [era] un uomo”, di sbagliare i pronomi in maniera ripetuta, e di riportarla costantemente al fatto che non sarebbe una vera donna. Infatti, quando un testimone ha raccontato di aver visto una donna a terra, il presidente della sessione ha riformulato aggiungendo: “pensavi che fosse una donna”. Il testimone ha ripetuto: “Ho visto una donna a terra”.

Dov’è la considerazione di tutta questa violenza nel suo giudizio? E dov’è la considerazione di tutte le violenze che ha subito nella sua vita? Quale considerazione viene data all’estrema violenza subita da donne come Jennifer, Kessy, Valerie durante la loro vita? Quale considerazione viene data all’estrema violenza subita dalle lavoratrici del sesso trans?

Non si è parlato di stupro quel giorno, eppure se Jennifer fosse stata ascoltata, sostenuta e protetta, saremmo qui?

È stata quindi condannata a 5 anni, di cui 3 in carcere.

Facciamo appello alla vostra solidarietà. Raccontiamo la sua storia. Trasmettiamo questo testo.

Scriviamole. Mandiamole dei soldi.

Contatto: solidaritejennifer@riseup.net

Donazioni: https://www.paypal.com/pools/c/8tsUqYi4c2

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Originariamente pubblicato su: https://roundrobin.info/2021/10/francia-supporto-per-jennifer-donna-trans-e-sex-worker-condannata/

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Cile - Aggiornamenti sulla salute di Francisco Solar

Sulla recente malattia del compagno anarchico Francisco Solar e la sua delicata situazione di salute (Cile)

Nei primi mesi del 2021, Francisco insieme ad altri anarchici e sovversivi imprigionati ha realizzato uno sciopero della fame durato più di 50 giorni contro la modificazione del decreto legge 321 e per la scarcerazione immediata di Marcelo Villarroel.

Nel 2010 Francisco aveva già messo il suo corpo come barricata di lotta in un altro sciopero, durato più di 60 giorni, nell’ambito del «Caso Bombas».

È durante l’ultima mobilitazione che a Francisco sono state fatte diverse analisi del sangue da parte dell’amministrazione penitenziaria, rilevando una situazione preoccupante, per cui Francisco è stato ricoverato d’urgenza all’ospedale interno al carcere a causa dei cattivi risultati delle analisi del sangue, ma pochi minuti dopo i secondini hanno ritrattato e alluso a un errore, restituendolo al carcere.

Dopo un lento recupero, continui crampi, sete eccessiva, perdita di peso, Francisco ha richiesto esami medici a seguito del trasferimento al carcere di Rancagua. Solo il 22 settembre questi esami sono stati effettuati ed è stato ricoverato d’urgenza. La diagnosi: diabete avanzato con 700 mg/dl di glucosio, cioè sull’orlo del coma diabetico.

Dopo aver raggiunto una stabilizzazione minima è stato riportato al Modulo 2, dove, nonostante le due dosi di insulina somministrate quotidianamente in modo restrittivo dai medici-secondini, non ha ancora raggiunto normali parametri di glucosio.

Pochi giorni dopo, il compagno ha cominciato a soffrire di una significativa perdita della vista, che continua ancora oggi, senza ricevere alcuna attenzione, e che gli impedisce la lettura e altre attività quotidiane. Il carcere di Rancagua, essendo gestito da un’impresa privata, prevede una pessima alimentazione e un sistematico divieto di ingresso per i pacchi, per cui i reclusi sono costretti a comprare una serie di dolci e alimenti che l’impresa concessionaria, come un monopolio, vende loro. Questa realtà, in pratica, non è altro che l’aggravamento della malattia e il peggioramento della salute di Francisco.

Per la vita e la salute del nostro compagno, è urgente che la gendarmería non ponga restrizioni al suo ricovero – che è già in trattativa con un medico privato –, che finiscano divieti e limitazioni per il ricovero, che vi siano le strutture per un trattamento adeguato che gli permetta un minimo di autonomia all’interno del carcere.

Sappiamo che il carcere cerca di annientare e svilire l’individuo, quindi il superamento degli ostacoli e degli impedimenti posti dalla burocrazia carceraria può essere portato a termine solo con la mobilitazione, la solidarietà e il mutuo appoggio. Riteniamo la gendarmería responsabile di qualsiasi peggioramento delle condizioni di salute del compagno.

Agitazione e solidarietà per la salute del compagno Francisco!

Anarchici e sovversivi imprigionati nelle strade!

Ottobre 2021

Nota sull’operazione repressiva contro i compagni Mónica e Francisco:

Nelle prime ore di venerdì 24 luglio 2020, a Santiago del Cile, sono avvenute alcune perquisizioni, con l’arresto di due anarchici, Francisco Solar e Mónica Caballero, accusati di diverse azioni con ordigni esplosivi tra il 2019 e il 2020. Nello specifico, entrambi sono accusati del duplice attacco esplosivo avvenuto all’interno dell’edificio Tánica, ex agenzia immobiliare Transoceánica, nel ricco comune di Vitacura, il 27 febbraio 2020, azione rivendicata dalle Afinidades Armadas en Revuelta (Affinità Armate in Rivolta). Mentre solo Francisco è accusato della spedizione di due pacchi-bomba: il primo contro il 54° commissariato di polizia di Huchuraba, nella zona nord di Santiago, che il 25 luglio 2019 ha causato il ferimento di otto poliziotti; il secondo agli uffici di Quiñenco, contro l’ex ministro degli interni Rodrigo Hinzpeter, nel comune di Las Condes, pervenuto nella stessa data e che però è stato disinnescato. Quest’ultima duplice azione è stata rivendicata dai Cómplices Sediciosos / Fracción por la Venganza (Complici Sediziosi / Frazione per la Vendetta).

In precedenza, Mónica e Francisco vennero arrestati il 14 agosto 2010, in Cile, nel contesto dell’operazione repressiva anti-anarchica denominata «Caso Bombas». Negli anni precedenti almeno un centinaio di attacchi incendiari ed esplosivi colpirono molteplici strutture del potere. Il 1° giugno 2012 tutti gli imputati vennero assolti. Successivamente sono stati arrestati il 13 novembre 2013 in Spagna e accusati di aver realizzato l’attacco esplosivo contro la Basilica del Pilar a Saragozza (2 ottobre 2013). Al termine di un lungo processo sono stati condannati definitivamente a 4 anni e 6 mesi. Il 7 marzo 2017 sono stati scarcerati ed espulsi dalla Spagna verso il Cile.

[Aggiornamento pubblicato in spagnolo da buscandolakalle.wordpress.com, traduzione italiana in malacoda.noblogs.org].

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Originariamente pubblicato su: https://roundrobin.info/2021/10/cile-aggiornamenti-sulla-salute-di-francisco-solar/

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Berlino - Rigaer94, Prima dichiarazione sull’irruzione della polizia il 6 ottobre 2021

Oggi, 06.10.2021 alle 7 del mattino, i poliziotti con indosso la loro sporca uniforme da sacco della spazzatura, con gli scudi ancora pieni dei colori della resistenza del 17 luglio e armati, hanno fatto irruzione nella nostra struttura politica e spazio di vita, Rigaer94. Ancora una volta, come tutti i giorni, i servi dello Stato eseguono gli ordini che gli vengono dati e obbediscono al capitale.

Lo stato garantisce l’ordine del sistema capitalista, in modo da poter spremere fino all’ultima goccia di profitto dalle persone e dai loro spazi vitali, acquisire potere su ogni vita, distruggere qualsiasi idea politica antagonista alla loro e opprimere qualsiasi individuo che non chini la testa di fronte ai piani di questa società capitalistica, patriarcale e razzista. È chiaro che i poliziotti di Berlino lavorano ancora con la Lafone Investments Ltd., sono i loro mercenari ed eseguono gli ordini del piano messo in atto per sbarazzarsi del Rigaer94 e quindi per forzare il processo di gentrificazione di Nordkiez, Friedrichshain – dopo aver perso il loro ultimo attacco contro di noi nel giugno di quest’anno.

Sono entrati nella nostra struttura politica e nella nostra casa questa mattina, rompendo le finestre laterali del 1° piano, distruggendo ancora una volta le nostre porte e persino rimuovendo l’intera parete di uno degli appartamenti, con la porta barricata, della casa anteriore al 4° piano. Avevano con sé i loro inutili documenti del tribunale con i mandati per identificare tutti coloro che si trovano nella casa al momento dell’irruzione. Hanno anche fatto dei disegni della planimetria per controllare le modifiche di costruzione. Il mandato si basa sull’ASOG. Questa legge rende facile per i poliziotti fare irruzione e reprimere strutture politiche e individui quando e come vogliono. Ufficialmente lo scopo dell’irruzione è stato quello di preparare i processi di sfratto di tutti gli appartamenti della casa. Tuttavia, non c’è dubbio che questa irruzione è stata usata per indebolire le nostre strutture e il movimento che lotta contro lo stato e il capitale, il capitalismo e la gentrificazione, una settimana prima dello sfratto di Köpi Wagenplatz (15 ottobre). E’ una tattica comune, attaccare e isolare strutture e individui solidali con i progetti minacciati, poco prima di un attacco annunciato e pianificato. Come è successo anche con lo sgombero dei nostri vicini L34 l’anno scorso, quando la nostra struttura subì un’irruzione e un assedio durato alcuni giorni nel luglio 2020, pochi mesi prima del Tag-X.

Non ci sentiamo né scoraggiati né demotivati, ne smetteremo mai di sostenerci a vicenda, combatteremo: prima, durante e dopo qualsiasi Tag-X e anche senza una data annunciata di un attacco proveniente dallo Stato o dal capitale. Noi sosteniamo le nostre decisioni politiche, sociali ed emotive per difendere i nostri territori e le nostre idee e per essere solidali tra di noi attraverso l’auto-organizzazione e le procedure orizzontali dall’interno delle nostre strutture, nei nostri quartieri e nelle strade.

Ieri tutti i lavoratori della Gorillaz, che erano in sciopero, sono stati licenziati e oggi sono in piazza. Noi sosteniamo i lavoratori che lottano contro il capitalismo e il potere. C’è un Tag-X quando le nostre strutture e le nostre idee vengono attaccate, per noi non importa se è un raid a Rigaer94 o se è la lotta dei lavoratori che sono stati licenziati ieri dalla Gorillaz. Uniti lottiamo contro il capitalismo e il potere. Scendiamo in piazza oggi 06.10., alle ore 13:00 a partire da Schönhauser Allee 180.

Questa è una chiamata a ravvivare la tradizione di avere incontri liberi e aperti sugli attacchi alle nostre strutture, quindi vi invitiamo a venire oggi a NewYorck, Bethanien alle 18.00.

Inoltre apriremo le porte di Ka(d)terschmiede per mangiare questa sera dalle 20.00 per riunirci ed aggiornarci.

Continuiamo a lottare come previsto, ogni giorno, e soprattutto nei prossimi giorni per la lotta intorno a Köpiplatz e tutti i progetti e le idee minacciate.

Demo United in Anger – 09.10, 18:00 a partire da Dorfplatz davanti a Liebig34, che è stato sfrattato un anno fa, per finire davanti a Köpi-Wagenplatz.

Sostieni la chiamata all’azione decentralizzata da Köpiplatz e la demo Tag-X di Interkiezionale il 15.10, 20:00 partendo da Zickenplatz, Kreuzberg.

Uniti lottiamo – restiamo ingovernabili!

Con la rabbia, Rigaer94

Fonte: actforfree.noblogs.org

Traduzione in italiano a cura di: infernourbano

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Roma - Incendio macchina Sirti

riceviamo e diffondiamo:

il 28 Agosto 2020 a Roma durante la settimana internazionale di solidarietà con x anarchicx prigionierx abbiamo incendiato una macchina dell’azienda Sirti.

Sirti collabora con la digitalizzazione e l’implementazione tecnologica che è fondamentale in questa fase di sviluppo del dominio, non ci servono altre motivazioni per attaccarla.

Solidarietà con tuttx x anarchicx prigionierx nel mondo!

Vicinanza e forza a Boris, in coma in Francia a seguito dell’incendio della sua cella!

A tuttx coloro che continuano a illuminare le notti con le loro azioni!

PER L’AZIONE DIRETTA INCENDIARIA E DISTRUTTIVA

VIVA L’ANARCHIA

#RoundRobin #Anarchist #News #Anarchism #Media #Anarchismo #Informazione #Italia #Anarchici

Originariamente pubblicato su: https://roundrobin.info/2021/10/roma-incendio-macchina-sirti/

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Lachapelle-sous-Aubenas (Ardèche) - Non dimenticare di spegnere la luce quando esci

Fin dall’infanzia, il mondo moderno non ha mai smesso di prenderci in ostaggio, vantandoci i meriti della sicurezza, facendoci dimenticare, attraverso una serie di promesse sempre meno mantenute, la dose massiccia d’asservimento che dovremmo accettare in cambio del progresso.

Intanto, gli orizzonti che si presentano davanti alle avanzate della civiltà non smettono di scurirsi: devastazione delle zone selvagge, addomesticamento crescente del vivente, artificializzazione degli esseri, il mondo attuale continua la sua sfrenata corsa in avanti, che lo rende sempre più dipendente dalle infrastrutture energetiche e dai prodotti che queste consumano e producono: petrolio, uranio, elettricità.

Nello spazio di meno di due secoli, la produzione d’elettricità e l’elettrificazione crescente degli spazi non ha mai smesso di estendersi e di colonizzare ogni minima parcella delle nostre vite.

All’inizio sono state alcune imprese ed industrie a ricorrere all’energia elettrica. Questa tecnica si è poi progressivamente diffusa all’utilizzo domestico. Oggi, nella nostra vita quotidiana, ad ogni istante portiamo con noi ed utilizziamo una quantità sempre più importante di accessori, nelle nostre tasche o ai nostri polsi, accessori che danno il ritmo ad ogni istante delle nostre esistenze, fino a rendere il loro utilizzo completamente normale.

È evidente è che una tecnica un tempo marginale e riservata a qualche settore industriale ha assunto una dimensione esponenziale e diffusa, imponendo il suo regno nel giro di qualche generazione.

Se l’uscita dalla tela digitale sembra essere una sfida sempre più complessa da affrontare, provare a sfuggire ad un mondo nel quale l’insieme dei rapporti sarebbero disciplinati dall’elettricità lo è ancor di più.

Si può ormai vedere che man mano che la società aumenta la propria dipendenza dall’elettricità, essa rischia di non poterne più fare a meno, per mantenere la sua esistenza organizzativa. Sono bastate poche generazioni per perdere l’utilizzo e la conoscenza di un insieme di gesti e di pratiche, cosa che accelera ancor di più il regno della dipendenza. Al di là della comodità, ciò che il mondo dell’elettricità costruisce in noi è innanzi tutto l’esperienza delle depossessione delle nostre scelte e della nostra autonomia. La maggior parte delle esperienze di vita che possiamo sperimentare si svolgono di solito all’interno di una realtà sempre più normalizzata.

Le inftrastrutture elettriche si rivelano allora come le pietre angolari di quello che, dietro la parvenza di un mondo di progresso e d’emancipazione, si rivela essere innanzitutto un sistema totalitario e mortifero, che spesso ci obbliga, volenti o nolenti, ad avanzare nel senso del suo sviluppo.

Se abbiamo preso di mira, attraverso il nostro atto di sabotaggio, un importante trasformatore elettrico del bacino di Aubenas, nella notte del 13 luglio 2021, è perché vogliamo indirizzare la nostra rabbia contro tutto quello che il sistema elettrico incarna e rappresenta. Vogliamo, allo stesso tempo, sottrarci con la forza dal ricatto ideologico che ci viene imposto dal corso del mondo tecno-industriale.

La critica del mondo odierno, per essere comprensibile ai più, rifiuta spesso di stravolgere in maniera radicale le condizioni dell’esistenza.

Si dice che sarebbe possibile, all’interno dell’orticello tracciato dal proprio spazio domestico, individualmente, rimettere in discussione un certo utilizzo dell’elettricità, fare ricorso a qualche procedura per guadagnare, da un certo punto di vista, un po’ più di autonomia e d’autosufficienza.

Dato che, per la maggioranza delle persone, è diventato talmente difficile immaginare un mondo senza elettricità, i “gesti di resistenza” si traducono in tecniche, all’immagine del mondo che li produce. Piuttosto che mettere in dubbio il dominio tecnoscientifico nel suo insieme, siamo sedotti dalla possibilità illusoria di riappropriarci delle briciole di un mondo che da tempo non è più pensato a misura dei nostri bisogni, ma che risponde innanzitutto allo sviluppo del regno delle macchine.

Non ci sarà una Rivoluzione fatta di piccoli gesti quotidiani. Ad ogni modo, essa è fortemente sostenuta dal dominio e diventa una cortina di fumo che dà l’impressione di agire un poco alla volta. Questa cosiddetta Rivoluzione ci sembra una rinuncia fondamentale, la perdita della possibilità d’immaginare un mondo radicalmente altro, in cui le norme non sarebbero più dettate dall’immaginario scientifico e industriale. Noi vogliamo continuare a desiderare e a concepire la possibilità di un mondo in cui il progresso scientifico non sia più la sola narrazione positiva che modella il futuro.

Se crediamo nelle possibilità individuali, troviamo che sia un peccato che queste debbano essere pacificate dalla sopravvalutazione dei piccoli gesti quotidiani, cosa che traduce in pratica sovversiva la scelta di un sapone eco-responsabile o una doccia cronometrata in un appartamento moderno. La scelta di accendere o di spegnere la luce assomiglia sempre più alle false possibilità elettorali, come se la critica del mondo odierno potesse avere luogo soltanto all’interno di un quadro imposto (sistema elettorale, infrastruttura digitale…).

Al giorni d’oggi, chi prende coscientemente di mira quelli che diventano sempre più i flussi indispensabili del mondo contemporaneo è sistematicamente considerato come qualcuno che prende in ostaggio numerose vite umane.

È curioso che la morale occidentale contemporanea, nonostante essa si sia costantemente fondata su assassinii di massa e sull’asservimento individuale (schiavitù, colonizzazione…), nonostante abbia trattato delle popolazioni intere come cavie del nucleare (Polinesia, Algeria…), nonostante organizzi la servitù della maggioranza, appena mascherata dal consumo, nonostante essa sappia, senza curarsene, che l’insieme del suo livello di vita è il risultato dell’asservimento del vivente e di altri esseri umani, lontani, è curioso che essa tratti come terroristi gli individui che mettono in discussione il livello di dipendenza generale da infrastrutture e flussi intoccabili e galvanizzati, da parte della maggior parte della gente.

Prendendocela direttamente con le infrastrutture elettriche, noi vorremmo affrontare di petto il problema del ricatto al quale questo mondo ci costringe. Se diamo ascolto ai tecnocrati, la volontà di andare contro il mondo moderno e benevolo significherebbe prendersela coi più deboli, che dipendono dal sistema.

Ne abbiamo abbastanza di delegare la nostra forza, le nostre capacità e la nostra sicurezza ad un mondo che ci rinchiude, che ci mantiene in stato di dipendenza e che molto spesso organizza il nostro indebolimento.

Contrariamente a tutto quello che possono dire, il progresso non è un progetto filantropico. In quest’epoca di capitalismo, i passi in avanti della tecnica sono innanzitutto dei progetti mercantili. Il fine ultimo non è e non è mai stato quello di rendere felici gli uni, né di contribuire al comfort degli altri. In questo miraggio in cui viviamo, si fa di tutto per rendere invisibili le regole dell’economia e dello Stato. Accettare l’inferno è più facile quando è lastricato di buone intenzioni.

A causa della costruzione di infrastrutture che ci incatenano sempre più ad un progetto di società mortifero, siamo attualmente privati della possibilità di esplorare altre possibilità d’esistenza. Quando tutto e tutti si ritrovano presi e bloccati dalle diverse parti di una stessa realtà dominante, non è più possibile opporvisi senza opporsi direttamente al sistema nel suo insieme e alle sue infrastrutture.

Se ci sembra importante staccarcene individualmente, la natura stessa della rete interconnessa trasforma la possibilità di un distacco individuale in una atto incompleto e insufficiente.

Prendersela con le infrastrutture è una garanzia ben migliore che il mondo elettrico cessi di rinchiuderci e d’imporci il suo regno della velocità.

Staccare la spina di questo mondo elettrico significa allora rivelare l’enorme portata di ciò che esso tocca e dirige.

Staccare la spina di questo mondo elettrico significa prendere atto del fatto che è sempre più difficile agire e pensare in modo autonomo, al di fuori della sua influenza, e che quindi diventa sempre più importante farlo.

Staccare la spina di questo mondo elettrico significa cercare di creare una reazione a catena, che tocchi l’insieme delle infrastrutture e delle cose che funzionano grazie all’elettricità (reti digitali, di comunicazione, bancarie, statali, industrie ed aziende, infrastrutture militari e poliziesche…).

Staccare la spina di questo mondo elettrico significa prendere di mira il mito dell’energia pulita che si nasconde dietro il nucleare.

Staccare la spina di questo mondo elettrico significa cercare di fare un passo verso l’ignoto.

Quella notte, ad un’ora avanzata, ci siamo introdotte in un parco elettrico nelle vicinanze del comune di Lachapelle-sous-Aubenas, nel dipartimento dell’Ardèche. Dopo aver fatto un grosso buco nella recinzione, ci siamo intrufolati all’interno dell’infrastruttura, per attaccarla in diversi punti.

Sono stati appiccati diversi incendi, all’interno degli edifici che avevamo precedentemente aperto. Questi edifici contenevano dei generatori e delle batterie di riserva, che pensiamo rimpiazzino il resto dell’infrastruttura in caso di danni.

Abbiamo anche dato fuoco a diversi contatori, distribuiti intorno e dentro l’edifico centrale, che secondo noi ospita un gigantesco convertitore.

Infine, dopo aver sollevato due lastre metalliche, abbiamo incendiato dei cavi elettrici che si snodano tra le diverse installazioni del sito.

In tutto, 9 bracieri illuminavano la notte al momento della nostra fuga.

Abbiamo potuto constatare che le città e i villaggi tutt’intorno non sono piombati nell’oscurità. Nonostante dei danni, che immaginiamo importanti, con diversi incendi che hanno preso, sul sito, il resto della rete elettrica non sembra aver subito l’impatto dei danni che abbiamo inferto.

Ciò non ci scoraggia nel volere comunque continuare ad attaccare la società elettrica.

Salutiamo gli/le autori del comunicato di Tolosa, a proposito dell’attacco di un trasformatore elettrico. Le parole di quel testo hanno toccato i nostri cuori e i nostri animi.

Coraggio a quelli/e che resistono, già oggi, contro l’annientamento della vita e della libertà.

Un pensiero speciale per il compagno Boris, sempre in coma.

Più che mai, in questi tempi nauseabondi, preferiamo il rischio legato al fatto che la situazione esca dai binari, piuttosto che la falsa pace di una comodità mortifera.

Piuttosto l’oscurità di una notte senza neon, che la luce di una strada verso il baratro.

Che la magia ritorni nelle nostre vite. Perché mai le fate saranno elettriche.

P.S.: Non dimenticare di spegnere la luce quando esci!

fonte: https://attaque.noblogs.org/

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Montreuil - Il furgone della rue Valmy

Questa è la storia di un furgone della Eiffage. Un furgone nuovo di zecca. Perché ha chiaramente rimpiazzato quello che, lo abbiamo letto, è stato incendiato a inizio anno, nella stessa zona. Un furgone nuovo di zecca, quindi, che finisce in fiamme.

Un furgone di Eiffage serve di solito a costruire delle gabbie.

Delle gabbie tristi, con dei colori che suonano falsi. Delle gabbie per abituarci al conformismo, per prepararci al lavoro e a ben svolgere il ruolo sociale che ci è stato attribuito.

Delle gabbie deprimenti o piene di rumore e di luci che fanno girare la testa, che dovrebbero motivarci a sprecare il nostro tempo e la nostra energia in occupazioni troppo spesso inutili o nocive.

Delle gabbie falsamente accoglienti da riempire di gingilli, per parcheggiarci quando non siamo occupati a produrre o a consumare. Per nascondere il vuoto che è diventata la nostra vita.

Delle gabbie inquietanti, con filo spinato e sbarre, quando non vogliamo o non possiamo svolgere il ruolo sociale che ci è stato attribuito.

Delle gabbie asettiche per cercare di prolungare questa esistenza, anche se è la vita stessa che le è venuta a mancare.

La caratteristica di questa esistenza è la sua assenza di vita, rimpiazzata da un insieme d’oggetti e d’occupazioni più o meno obbligatorie. Ma ci sarà sempre qualcuno/a per vendicare questa vita che ci è sottratta. Perché la sola vita degna, in una società che ci impedisce di vivere, è la distruzione di questa società.

Quindi questa è la storia del furgone di Eiffage che abbiamo incendiato nella notte fra domenica e lunedì 27 [settembre 2021; NdT], in rue Valmy a Montreuil.

Questa è la storia di un furgone che non sarà l’ultimo a finire in fiamme.

Solidarietà con Boris, con Toby Shone, imprigionato in Inghilterra, e con i/le tre anarchici/he italiani/e attualmente sotto processo e che rischiano numerosi anni di galera.

Viva l’anarchia!

Fonte: https://attaque.noblogs.org/post/2021/09/29/montreuil-seine-saint-denis-la-camionnette-de-la-rue-valmy/

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Sostegno al Marbré – Difendiamo i nostri spazi – Attacchiamo la città dei ricchi

Il Marbré ha aperto le sue porte nel settenbre 2020, da allora la polvere di marmo e la lana di vetro hanno lasciato spazio ad un luogo d’abitazione e di organizzazione politica radicale, autonoma* e auto-organizzata. In questo spazio si incrociano e si incontrano delle prospettive diverse basate su iniziative anti- merce, contro il

capitalismo e ogni sorta di oppressione, in rottura con lo stato e tutto l’esistente. I temi principali sui quali la gente si ritrova e si organizza attorno al Marbré sono la questione degli alloggi, l’anti-gentrificazione, le lotte sociali, le prigioni, l’anti-specismo, il femminismo e le frontiere.

Lo spazio organizzativo del posto è un’assemblea generale aperta a gente e a collettivi nuovi.

Qualche parola sulla situazione

Abbiamo subito un primo sgombero nel febbraio scorso, ma il posto è stato rioccupato vittoriosamente il giorno dopo e questo ci ha dato molta forza. Da settembre scorso, dopo la fine del nostro processo avvenuta in giugno, stiamo facendo fronte ad una nuova minaccia di sgombero. La sentenza del tribunale ci accordava una proroga di tre mesi alla quale si aggiungevano altri due mesi di délai gracieux oltre alla treve hivernale (tregua invernale, periodo di tempo durante il quale è prevista la sospensione degli sgomberi che va dal 1 novembre al 1

aprile).

Ma questo non sembra aver convinto l’ufficiale giudiziario che ci ha intimato di lasciare il posto a partire dal 23 settembre. In risposta a questo ordine consegnatoci dall’ufficiale giudiziario abbiamo fatto appello al JEX( giudice di esecuzione) per contrastare la sua interpretazione dei fatti e per questo ci è stata fissata un’udienza per il 5 ottobre. La risposta del giudice arriverà però solo il 16 novembre e per tutto questo periodo rimarremo sgomberabili. La nostra strategia politica è stata quella di creare una mobilitazione tra il 23 settembre

e il 5 ottobre: abbiamo proposto delle iniziative ogni giorno, abbiamo invitato altri squat e collettivi della zona e ci stiamo preparando per il giorno X. Chiaramente continueremo questa mobilitazione oltre il 5 ottobre e per questo continueranno ad esserci ogni giorno dei laboratori, delle discussioni, ecc. fintanto che riusciremo a tenerci il Marbré. Stiamo esplorando assieme la solidarietà e la condivisione delle conoscenze. La minaccia di sgombero ovviamente ci preoccupa, ma allo stesso tempo la stiamo vivendo come un’esperienza collettiva forte ed in questo ci stiamo buttando a capofitto, anche se siamo solo all’inizio di questa maratona.

Vi invitiamo dunque a partecipare alla difesa dei nostri luoghi e del Marbré. Per questo, se siete nei paraggi, potete passare a trovarci, proporre delle iniziative, o parteciparvi, farvi vedere insomma. Potreste per esempio parlarne attorno a voi. C’è una lista di numeri da contattare in caso di sgombero, potete aggiungervi il vostro inviandolo all’indirizzo lemarbre@riseup.net o passando direttamente a trovarci. In caso di sgombero ci sarà una manifestazione il giorno dopo alle 19:00 alla Mairie de Montreuil. Ogni dimostrazione di solidarietà è benvenuta: sta a ciascuno/a decidere con quali mezzi e in base ai propri desideri come agire contro tutti gli attori e gli approfittatori degli sgomberi, dello sfruttamento, dell’urbanizzazione e della gentrificazione:

avvocati, ufficiali giudiziari, agenzie immobiliari, ristoranti, negozi bio ed altre catene, telecamere e altri sistemi di sorveglianza e di allarme, grossi cantieri come Grand Paris, infrastrutture delle telecomunicazioni, commissariati, tribunali, municipi, costruttori e approfittatori di prigioni o di CRA: Bouygues, Vinci, Eiffage, Spie, tra gli altri.

Difendiamo i nostri spazi, resistiamo agli sgomberi e allo sfruttamento delle nostre vite.

Solidarietà internazionale

i problemi che stiamo incontrando non si fermano alle frontiere delle città e degli stati e anche se i nomi cambiano, i nostri nemici sono sempre gli stessi ovunque. La solidarietà internazionale rompe l’isolamento nella quale ci spinge la repressione, e questo ci rende più forti e meno soli/e. In questo momento il nostro pensiero va anche verso gli amici/e che stanno facendo fronte alla repressione sia sorridendo sulle barricate che durante le nostre discussioni, solidarietà al Kopiplatz, l’EIF, la Trasheria e a tutti gli squat in rivolta e che stanno resistendo. Solidarietà anche a quelli/e colpiti/e da operazioni repressive come Prometeo(evvai!!), Byalistock e Scintilla, la repressione contro la Gare ad Atene, i processati del S19 in germania, gli/le amici/e accusati/e di associazione sovversiva e di terrorismo in francia, e a tutti i compas rinchiusi

Il Marbré

* organizzazione che cerca di essere non- gerarchica, senza partiti,

senza sindacati

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Op. Scintilla - un testo

Voglio esprimere di fronte a questa Corte alcuni punti fermi che riguardano la mia vita e la repressione che da anni insegue me, così come tanti e tante anarchiche in Italia.

Sono stato accusato di essere membro di un “associazione sovversiva strutturata gerarchicamente”. L’idea di dare o ricevere ordini, di dirigere o essere diretto da altri\e mi disgusta profondamente.

Sono stato accusato di aver istigato le persone rinchiuse nei CPR, luoghi di segregazione e tortura, luoghi dove lo stato italiano mostra la sua natura intrinseca, a rivoltarsi all’interno di quelle strutture. Una tale accusa nasconde solo un’ottica razzista e paternalista nei confronti dei e delle migranti, considerati come di fatto degli incapaci eterodiretti, e nasconde la realtà dei Cpr come lager verso i quali un’enorme quantità di persone rinchiuse ha la necessità di rivoltarsi.

Sono accusato di appartenere a compagini, categorie, gruppi che solo la lingua di legno dei pubblici ministeri può inventare alla bisogna. Nel corso degli anni, le varie operazioni che hanno visto gli anarchici e le anarchiche alla sbarra, hanno inquadrato compagni e compagne in insiemi totalmente inventati. Ogni anarchico\a non è incasellabile, si porta nel cuore un’individualità fatta di lotte, pratiche e idee che solo nell’individualismo anarchico trovano spiegazione.

Sul movimento anarchico negli anni sono state lanciate le accuse giuridiche più disparate, avendo il concetto di “reato” al suo interno una semantica che ha scopi politici e quindi intenzionalmente lontani dalla realtà, alcune di queste sono servite a deformare e a strutturare, quindi, linee di senso prodotto di una vera e propria nevrosi di stato.

Le accuse d’indiscriminatezza , come ho imparato vivendo e conoscendo il passato, appartengono agli stati che bombardano civili inermi, uccidono nelle piazze e nelle stazioni.

Lo stragismo non appartiene agli\alle anarchiche, ma agli stati, la cui responsabilità nell’eccidio di persone migranti nel Mediterraneo è più che trentennale e allo stato italiano, in particolare, che ha ucciso i detenuti ribelli di Modena e li ha torturati a Santa Maria Capua Vetere.

Conosco la storia e so da che parte stare, so dove sedermi.

La mia tensione mi pone accanto a tutti e a tutte le ribelli che si oppongono a questo mondo, fatto di miseria, sfruttamento ed esclusione; la mia vita è accanto a coloro che lottano, come meglio credono, contro il mondo delle carceri e dei Cpr, da dentro e da fuori le mura.

Tutta la mia solidarietà, per tutto questo, va a tutti quegli anarchici e a quelle anarchiche rinchiuse nelle carceri italiane, condannate a lunghe pene o ancora in attesa di giudizio, ai miei compagni e compagne, che a testa alta continuano a lottare.

Antonio Rizzo

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L’uomo della necessità

L’uomo della necessità

La relazione conclusiva di Carlo Bonomi all’assemblea nazionale della Confindustria del 23 settembre è uno di quei documenti che dovrebbero essere studiati per intero nei manuali di filosofia politica. Ci sono tre tipi di animali politici nella fauna italiana, scrive il Filosofo: l’Uomo della Provvidenza, l’Uomo della Possibilità, infine c’è l’Uomo della Necessità.

L’Uomo della Provvidenza, come è noto, fu Benito Mussolini. In che senso incarnava la figura della Provvidenza? Nel senso che, alla società del periodo, la rivoluzione proletaria sembrava davvero alle porte, serviva un intervento miracoloso, anti-storico, per salvare la borghesia e schiacciare le rivendicazioni operaie. Bonomi finge di non ricordare il sostegno che la sua Confindustria diede all’ascesa del fascismo, schernendosi dietro all’affermazione anti-fascista: «mai più uomini della provvidenza»!

Gli «uomini del possibile» sono quelli che nascono da una società democratica che liberamente sceglie una o l’altra opzione politica. Dove è ancora possibile la scelta. Ma ai padroni non piacciono nemmeno loro, in quanto, spiega il Filosofo, hanno «un occhio sempre mirato al consenso di breve periodo», cercano di «evitare scelte coraggiose», temono eccessivamente «delusione e scontento». Sono «campioni mondiali di un’unica specialità»: «Il calcio alla lattina, il rinvio eterno al futuro di qualunque soluzione efficace».

Infine c’è Lui, l’Uomo della Necessità. «Ecco, Mario Draghi è uno di questi uomini, uomini della necessità». E parte la serenata. Il padrone si mette a recitare la parte del cortigiano, ricorda la lunga disonorata carriera del nostro Presidente del Consiglio, dalla Banca d’Italia al Financial Stability Board, fino ai nove anni al timone della Banca Centrale Europea. Lunga vita all’Uomo della Necessità:

«Ma la mano decisa con cui il Presidente Draghi e il suo Governo hanno mutato energicamente su finalità e governance le prime 80 pagine del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il modo in cui il Governo sta scrivendo le riforme fondamentali, pilastri del Piano, introducendo obiettivi prima inesistenti, come produttività e concorrenza, hanno rapidamente ed efficacemente risposto alle aspettative delle imprese.

La mano ferma con cui è stata ridefinita e accelerata la campagna vaccinale ci ha, in pochi mesi, condotto a una percentuale di vaccinati sulla popolazione che nei primi mesi dell’anno appariva fuori portata. Anche per merito dell’opera instancabile del Generale Figliuolo, cui vanno i nostri più calorosi ringraziamenti.

La stessa mano ferma con cui il Governo ha assunto una settimana fa, la decisione dell’obbligo di introdurre il green pass per tutto il lavoro pubblico e privato.

Una decisione che noi, condividiamo integralmente».

Non sono sarcastico, nella filosofia politica di Bonomi possiamo apprezzare quella che è, senza neanche particolari camuffamenti, una vera e propria triade hegeliana: l’Uomo della Provvidenza, rappresentava il momento della Singolarità, l’essere-in-sé dello Stato contemporaneo, lo Stato etico di cui parlava Giovanni Gentile; gli uomini del possibile rappresentano la figura della Particolarità, con le sue accidentalità e contraddizioni, con la sua libertà meramente intellettualistica, la sua cattiva infinità «che ci ha dato, in media, un premier all’anno»; l’Uomo della Necessità incarna allora, la figura hegeliana dell’Universalità, la vera sintesi tra la mano ferma del dictator e il libero mercato della società liberale.

La relazione di Bonomi andrebbe letta per intero e consiglio a tutti di studiarsela. È consultabile a questo link e sarebbe bene salvarla a futura memoria: https://www.confindustria.it/wcm/connect/5590fcbe-579d-4654-ad20-b5d647d93a80/Relazione+Presidente+Assemblea+2021.pdf?MOD=AJPERES&CACHEID=ROOTWORKSPACE-5590fcbe-579d-4654-ad20-b5d647d93a80-nMiWqKk.

La sensazione è di avere tra le mani un classico di Locke o di Smith, che rimarrà. Attraversa temi che diversi compagni si pongono da qualche tempo, sembra una risposta a «Capitalismo ed elettrificazione», come se Bonomi avesse voluto mandare un contributo per il dibattito di Spoleto dell’11 settembre.

Il «compagno» ci propone una vasta mole di questioni che non possono essere esaurite in questa sede e sulle quali occorrerà tornare: dalla crisi dei chip ai problemi internazionali della logistica, dai container bloccati in Cina allo spostamento dell’asse del mondo ad Oriente, dal monopolio cinese sulle terre rare (i materiali con cui vengono fatti i dispositivi elettronici) alla ritirata interna della stessa Cina che lascia il pianeta privo della sua «fabbrica del mondo», dalla conversione digitale a quella ecologica.

Per ora mi soffermerò solo sulla questione centrale del dibattito di Spoleto. Con la cosiddetta fine delle ideologie, lo scontro fra visioni del mondo l’una contro l’altra armate e contrapposte, il confronto tra ipotesi diverse e ideali diversi, diventa irrazionale e improduttivo. Gli uomini della possibilità, almeno nella loro retorica, incarnavano una dinamica nella quale la storia presentava delle alternative, delle possibilità. La ragion tecnica ha sussunto questa dinamica (che comunque, giova ricordarlo, era in ogni caso menzognera) all’interno di una sintesi più ampia. La nuova ideologia unica, che camuffa se stessa e la sua natura ideologica, afferma che le scelte non sono più ambito di orizzonti etici e partigiani. Lo scontro politico viene ricondotto al problem solving, la natura impersonale dell’algoritmo decide come vanno affrontate le questioni.

La ricetta per la crisi argentina, per la crisi greca, per la crisi del Covid, per la crisi ecologica e per la crisi dei chip è una e una sola. Non ci sono alternative, come già aveva proclamato Margaret Thatcher. È in questo senso che non ci servono – dicono i padroni – uomini della provvidenza, che incarnino lo Stato etico, né uomini della possibilità: nessun altra strada è possibile, l’algoritmo ha deciso che le crisi del capitale si risolvono con la macelleria sociale. Serve semplicemente un macellaio «con la mano ferma», per dirla con le parole del presidente degli industriali. Serve l’Uomo della Necessità, che faccia quello che è necessario fare. «Le cose giuste vanno fatte», chiosa Bonomi, «anche quando sono impopolari».

Anche perché il quadro generale non è molto confortante. E qui il Nostro non si concede nessuna facile consolazione. Invita a non festeggiare la crescita economica, perché questa rappresenta un rimbalzo nemmeno sufficiente a compensare le perdite del 2020. E dice una cosa molto importante a tal proposito. In questa crescita, ci ricorda, «l’industria è il vero traino del paese». E aggiunge:

«Passerà molto tempo, purtroppo, prima che la domanda interna di consumi possa tornare a essere un driver potente di crescita: dopo tanti anni di perdita del reddito pro-capite che a parità di potere d’acquisto è tornato nel 2020 ai livelli di metà anni Novanta, di estensione della povertà assoluta, di aggravamento delle disuguaglianze di genere, tra generazioni, territoriali e sociali».

Non strabuzzate gli occhi. Bonomi non è diventato affatto un compagno. Anche perché sono stati lui e i suoi compari ad averci impoverito, ad aver aumentato le disuguaglianze di genere, tra generazioni, territoriali e sociali. Il Filosofo sta facendo un discorso molto più raffinato, che bisogna cogliere molto bene. Sta dicendo che la società dei consumatori al momento non dà segnali di ripresa. La crescita economica non si otterrà, almeno per ora, grazie alla domanda interna, al consumismo, alla gente che va in discoteca, a cena fuori, in vacanza, ecc. La gente diventerà sempre più povera, è l’industria che sta crescendo. Vale a dire Bonomi riconosce che c’è un processo di proletarizzazione profonda e che piuttosto che continuare a fare welfare, bisogna sostenere gli industriali. Se la gente ha fame, che venga a lavorare nelle nostre fabbriche insomma!

Infatti tutte le ricette che detta a Draghi vanno nella stessa direzione: far crescere ancora di più gli industriali ed aumentare ancora di più le disuguaglianze. Siamo in una fase di sacrifici insomma, «come è stato nel dopoguerra» per fare un esempio, come «dopo gli anni di piombo» per dirne un altro. Chissà che qui invece il Filosofo non pecchi di ottimismo. E se fossimo prima della guerra, prima degli anni di piombo?

Giacché non siamo liberi di determinare alcunché e tutto è sovradeterminato dalla Necessità, le cose da fare sono ben note: meno tasse alle imprese, più sfruttamento del lavoro, più spazio alle agenzie interinali, mandare la gente in pensione più tardi. La disoccupazione se la devono pagare da soli i pezzenti che vengono a lavorare per noi, va dunque sostituita con un «nuovo ammortizzatore universale di tipo assicurativo». Perché «noi dell’industria non possiamo accettare di restare a fare da bancomat» per i poveracci che licenziamo. Insomma il blocco dei licenziamenti «è stata una sciocchezza», che non ci pensiate più a farne altre di questo tenore. Abbiamo già fatto cadere un governo per questo, no? E minaccia: «Confindustria si opporrà a tutti coloro che vorranno intralciare il processo di riforme».

Nel suo prezioso contributo il «compagno» spiega anche perché non ha alcun senso l’ipotesi complottista. A chi afferma dietrologicamente che lo scontro sociale farebbe piacere a qualche misteriosa forza oscura, il «compagno» risponde che quella che cercano gli industriali è solo la «pace sociale». In questo senso offre ai sindacati di fare un accordo, il Patto per l’Italia, per gestire questa macelleria sociale in maniera più possibilmente ordinata, che le bestie da scannare insomma non si agitino troppo. «Non serve a niente l’antagonismo», ricorda il Megadirettoregalattico, «non servono a niente le contrapposizioni». Quello che serve è la «coesione sociale», ognuno nel suo ruolo naturalmente: gli inferiori e i superiori.

In conclusione, la filosofia dell’Uomo della Necessità è una filosofia nella quale la libera scelta è abolita nel nome supremo delle decisioni economiche ineluttabili. Al cattolico libero arbitrio il Filosofo sembra prediligere la luterana teoria della predestinazione: siamo predestinati al futuro che Draghi e Bonomi stanno preparando per noi. Agitarsi non serve a niente, non possiamo farci niente. Lo stesso Draghi non potrebbe fare altrimenti, non è un uomo, ma semplicemente un agente del Zeitgeist.

Ma le cose stanno davvero così? Sarò un inguaribile ottimista, ma sento che dopo tanto, troppo tempo qualcosa sta cambiando. La filosofia dell’Uomo della Necessità rappresenta infatti anche una conferma, un secolo e mezzo dopo, della profezia di Bakunin. Il nostro compagno aveva preconizzato l’ipotesi che la concentrazione delle conoscenze scientifiche in poche mani di esperti avrebbe dato vita ad una nuova casta. Un po’ come gli scriba dell’antico Egitto, gli scienziati oggi sono i soli depositari del sapere con cui viene governato il mondo, un sapere che mettono a disposizione dei nuovi faraoni del capitalismo transnazionale e dal quale siamo tutti esclusi. Un sapere che gli stessi scienziati non possiedono per intero, ma che è frazionato in competenze specifiche e complesse. (Proprio perché hanno competenze frazionate gli scienziati non possono diventare una classe dominante, ma sono una casta di scriba a servizio dei dominanti; precisazione che andrebbe bene agitata contro una lunga sequela di confusioni).

In Dio e lo Stato Bakunin riallacciava dunque la fondazione dell’autorità politica non solo ad una emergenza positivista dal dominio di classe, di cui lo Stato è garante, ma anche a una produzione metafisica, alla fondazione ideologica dello Stato intorno al proprio Dio. In questo senso, il futuro Stato tecnocratico avrebbe avuto la scienza come propria religione civile e negli scienziati i propri preti. In Stato e Anarchia Bakunin si spinge oltre e, nelle stesse pagine in cui polemizza con Marx, indica proprio nella distopia di uno Stato socialista autoritario la possibilità della realizzazione di questo dominio tecnico: un dominio che avrebbe costituito intorno ai burocrati di partito, unici depositari della conoscenza dei veri interessi del popolo, la nuova casta dominante. Se pensiamo alla filosofia di Bonomi dell’Uomo della Necessità, se pensiamo alla Cina come avamposto mondiale della nuova ipotesi di dittatura tecnologica… beh, sembra che entrambe le ipotesi di Bakunin si siano verificate. Roba da far tremare i polsi.

Allora perché essere ottimisti? Perché contro questa svolta si sta sollevando in tutto il pianeta una resistenza impressionante, soprattutto perché essa è estremamente spontanea. Una delle chiavi di risposta sul perché la sinistra sia oggi tanto afona si trova proprio intorno al fatto di non aver potuto capire, per difetti costitutivi, che l’odio verso la scienza contiene un germe di odio di classe. In questa fase storica, numerosi sfruttati individuano in maniera ancora inconsapevole nella rivoluzione tecnologica un qualcosa che seriamente li spaventa. Non essendone consci, si aggrappano spesso a ipotesi complottiste e sono fauna da pesca per i reazionari. Ma dietro a quella intuizione c’è un sentimento autentico: la tecnica sta ridisegnando il pianeta affinché l’ordine dei padroni diventi irrovesciabile.

Nell’ultimo mese di settembre sono accadute cose impressionanti. La disastrosa fuga degli occupanti americani ed europei, e dei collaborazionisti locali, dall’Afghanistan non ci parla anche del fatto che la modernità tecnica può essere sconfitta? Restringendo il campo al contingente, le piazze italiane contro il green pass hanno avuto una significativa svolta con episodi come l’assedio al quotidiano di destra «Libero» e la contestazione a Giorgia Meloni a Milano, caricata dalla polizia, il tutto iniziato con la campagna aggressiva di «infangamento» – in realtà erano già belli che infangati – nei canali telegram dei fascisti di Forza Nuova (le foto che inquadrano Castellino allo stadio, quindi con il green pass, sono apparse proprio nelle chat dei cosiddetti no vax).

Insomma sembra che la Tigre populista si sia sbranata il domatore fascista, sia scappata dal circo e si aggiri affamata per la città. Non sappiamo che colore abbia la Tigre, in che direzione vada e chi sarà la prossima vittima. Io non invito in alcun modo a fare fronte popolare con queste forze. Io dico semmai, rompiamolo il fronte. A volte basta così poco: una vetrina rotta differenzia immediatamente le posizioni dei commercianti da quelle di chi, affamato, ne approfitta per rubarsi qualcosa.

Insomma, io non credo che la strada della Necessità tecnica al servizio del capitalismo sia davvero tracciata e non si possa più fare niente. Sarebbe bellissimo se l’Uomo della Necessità dovesse rompersi il muso, contro la muraglia che sapranno opporgli, le donne e gli uomini della Libertà.

Emmeffe

[Pubblicato su malacoda.noblogs.org, 03.10.2021].

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Originariamente pubblicato su: https://roundrobin.info/2021/10/luomo-della-necessita/

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Op. Prometeo - Assolti Beppe, Robert e Nat

In attesa di ulteriori contributi, pubblichiamo la notizia dell’assoluzione di Beppe, Robert e Nat in primo grado nel processo per l’operazione Prometeo. Secondo i giornali, sono stati assolti “per non aver commesso il fatto”, con la formula dell’insufficienza di prove.

In attesa della sentenza, compagni e compagne hanno fatto un presidio trasformatosi in corteo.

Nella scorsa udienza il sostituto procuratore della Dda genovese Federico Manotti aveva chiesto 18

anni e quattro mesi per Beppe, e 17 anni per Robert e Natascia.

Beppe, essendo detenuto per un altro procedimento, per ora rimane in carcere, mentre Nat, dopo due anni, è libera!

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Originariamente pubblicato su: https://roundrobin.info/2021/10/op-prometeo-assolti-beppe-robert-e-nat/

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Grecia - Appello per Rouvikonas

riceviamo e diffondiamo:

Appello alla solidarietà in vista del processo del 13 ottobre 2021!

SOSTENIAMO GIORGOS KALAITZIDIS E NIKOS MATARAGKAS DEL GRUPPO ROUVIKONAS

Due anni dopo una massiccia mobilitazione internazionale di solidarietà che ha permesso a due membri di Rouvikonas di evitare il carcere, una nuova minaccia senza precedenti incombe sul gruppo. Un processo kafkiano attende Giorgos e Nikos il 13 ottobre, sulla base di false accuse. Questo tentativo di criminalizzare il movimento sociale può costare l’ergastolo a questi due attivisti politici. Serve una nuova mobilitazione internazionale.

I fatti: il 7 giugno 2016 un narcotrafficante è stato giustiziato ad Atene, nel quartiere di Exarcheia. Questa esecuzione è rivendicata da un collettivo di autodifesa chiamato “Milizia popolare armata” che sostiene che il narcotrafficante si stesse comportando in modo violento, minaccioso e pericoloso a Exarcheia, sia nei confronti dei membri del movimento sociale sia dei residenti del quartiere. Passano tre anni. Nessun membro di Rouvikonas è preso di mira dalle indagini.

Nel luglio 2019, Kyriakos Mitsotakis è salito al potere in Grecia e promette, tra l’altro, di farla finita “con ogni mezzo” con il gruppo anarchico Rouvikonas, rinomato in tutto il Paese per le sue azioni di solidarietà e la sua resistenza. Dopo pochi mesi, nel marzo 2020, un giudice istruttore ha rilevato il caso e ha incriminato due attivisti di Rouvikonas: Nikos Mataragkas e Giorgos Kalaitzidis, rispettivamente per omicidio e istigazione all’omicidio. Ma nel giugno 2020, dopo la loro comparizione davanti al giudice istruttore, sono stati entrambi rilasciati senza cauzione e il procedimento è stato logicamente archiviato.

Colpo di scena nell’aprile 2021: nonostante il fascicolo contro i membri di Rouvikonas sia vuoto, lo Stato e i meccanismi di repressione decidono improvvisamente di perseguire Giorgos e Nikos sulla base di false accuse e il loro processo è fissato per il 13 ottobre 2021! Questa manipolazione da parte del potere fa di Giorgos e Nikos suoi ostaggi e mira a distruggerli politicamente e fisicamente: rischiano l’ergastolo! L’obiettivo è anche danneggiare l’immagine del gruppo Rouvikonas e criminalizzare il movimento sociale in Grecia, come fecero cinquant’anni fa i colonnelli al potere.

Di fronte a questo processo kafkiano, diamo il nostro sostegno agli attivisti politici e di solidarietà Giorgos Kalaitzidis e Nikos Mataragkas e chiediamo la fine immediata del procedimento.

Chiediamo di rafforzare il comitato di supporto internazionale e invitiamo inoltre a sostenerli finanziariamente in questa resa dei conti che non si limita a questo processo per il gruppo Rouvikonas: il gruppo è spesso oggetto di procedimenti giudiziari per motivi meno gravi ma molto costosi (in totale per tutte le azioni attualmente giudicate e che lo saranno nei mesi a venire, le spese legali del gruppo ammontano a diverse decine di migliaia di euro): per la raccolta fondi, https://fr.gofundme.com/f/soutien-giorgos-et-nikos-athnes

Infine, chiamiamo chi può, ad una manifestazione di sostegno il giorno del processo: mercoledì 13 ottobre alle 9:00 presso il tribunale Efeteio, via Degleri 4 ad Atene. Sono gradite anche foto di azioni da altri luoghi. Non lasciamo solo nessuno di noi nelle grinfie del potere.

Comitato di supporto internazionale per Giorgos Kalaitzidis e Nikos Mataragkas

(segue un lungo elenco di adesioni a cui ci si può aggiungere contattando la seguente mail:

support@rouvikfrancophone.net)

Sulle azioni di resistenza e solidarietà di Rouvikonas in Grecia (video di 10 minuti):

https://www.youtube.com/watch?v=342ZzVVCm70

Alcune info sulle attività dell’organizzazione Rouvikonas (testimonianza dei membri delle delegazioni di solidarietà che hanno incontrato il gruppo):

– Rouvikonas è un gruppo di solidarietà che svolge frequentemente azioni con i precari greci e migranti, compresa la distribuzione di cibo e altre forme di aiuto.

– Rouvikonas è un gruppo antifascista, ha creato ad esempio la rete antifascista Distomo (che ha permesso di cacciare Alba Dorata dal centro di Atene, molto prima delle sanzioni legali)

– Rouvikonas è un gruppo misto in cui sono presenti ragazze e dove vengono respinti sessismo e machismo (il gruppo comprende una sezione femminista molto attiva e autonoma).

– Rouvikonas comprende membri di diverse nazionalità e origini.

– Rouvikonas è composta prevalentemente da lavoratori e precari.

– Rouvikonas rifiuta l’avanguardia e non vuole qualificarsi come tale.

– Rouvikonas non agisce solo a Exarcheia, ma in tutta la Grecia.

– Rouvikonas offre regolarmente incontri pubblici per confrontarsi con persone che vogliono saperne di più ed eventualmente unirsi al gruppo.

– Rouvikonas svolge spesso azioni in collaborazione con altri gruppi (anarchici di Salonicco, curdi, migranti, antifas, solidarietà…).

– Rouvikonas è affiliata alla Federazione Anarchica di Grecia A.O. (anarxiki omospodia).

– Rouvikonas partecipa anche a incontri, concerti o anche tornei di calcio antifa che riuniscono diversi gruppi.

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Originariamente pubblicato su: https://roundrobin.info/2021/10/grecia-appello-per-rouvikonas/

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Riflessioni a partire da "Un pugno di domande alla galassia anarchica"

riceviamo e diffondiamo uno scritto a partire dal testo “Un pugno di domande alla galassia anarchica e non solo”

Qui il pdf dell’articolo

In risposta al pugno

Avendo letto “Un pugno di domande alla galassia anarchica e non solo” vi propongo alcune considerazioni a proposito delle tante questioni aperte dal suddetto scritto.

Innanzitutto non mi presento, saranno mi auguro le mie parole a farvi comprendere il mio punto di vista. Se scrivo in questo spazio è perché coltivo ancora la speranza di trovare tra chi legge un’intelligenza libera che vada al di là delle definizioni e delle scuole di pensiero, degli slogan e dei dogmi, del politicamente corretto e dell’autocensura.

Anch’io provo inquietudine, un’inquietudine che però è maturata nel tempo, in mezzo a una società che uccide in maniera automatica il pensiero e quindi la capacità di giudizio.

La catastrofe ci mette alla prova, la critica alla società industriale e allo stato sarà vissuta fino in fondo o verrà affondata dalla paura di essere etichettati come fascisti, complottisti, omofobi e via dicendo?

Una società industriale avanzata genera malati perché rende gli uomini incapaci di controllare il proprio ambiente e, quando essi crollano, sostituisce una protesi ‘clinica’ alle RELAZIONI spezzate. Contro un simile ambiente gli uomini si ribellerebbero se la medicina non spiegasse il loro scombussolamento biologico come un difetto della loro salute, invece che come un difetto del modo di vivere che viene loro imposto o che essi impongono a se stessi. L’assicurazione di personale innocenza politica che la diagnosi offre al paziente serve come una mascherina igienica che giustifica un ulteriore asservimento alla produzione e al consumo.

Ivan Illich in Nemesi Medica

“Tutta la nostra civiltà è fondata sulla specializzazione, la quale implica l’asservimento di coloro che eseguono a coloro che coordinano; e su un simile fondamento non si può che organizzare l’oppressione, di certo non alleviarla.”

Simone Weil in Riflessioni sulle cause della libertà e dell’oppressione sociale

“Una mela al giorno toglie il medico di torno. Basta avere una buona mira.”

W. Churchill

L’istituzione del coprifuoco e della quarantena generalizzati, in particolare nelle città e nei paesi dove il contagio non c’era, sono state assolutamente nocive e liberticide. L’isolamento forzato indiscriminato, da nord a sud, dai borghi alle città, dalla montagna al mare, ha fomentato paure e procurato danni alla salute di qualsiasi persona. La colpevolizzazione di chi passeggiava in solitudine e della fascia più giovane della popolazione ha portato al delirio persecutorio e alla diffusione di malesseri di ordine psichico molto gravi. L’industria degli psicofarmaci certamente ci ha guadagnato, d’altronde come si dice? Mors tua vita mea.

Non mi permetterei mai di dare indicazioni di gestione delle epidemie, non ho titoli da vantare per questo ma c’è una storia inglese che narra di una città di nome Leicester che affrontò il vaiolo in questo modo: “non appena emerge un caso di vaiolo, il medico e il proprietario di casa sono obbligati a dichiararlo subito in municipio, pena una sanzione. Per telefono viene subito chiamata un’ambulanza preposta ai casi di vaiolo, che si occupa di tutte le procedure del caso, e così, nell’arco di poche ore, il malato è al sicuro in ospedale. La famiglia e gli abitanti della casa vengono messi in quarantena in ambienti confortevoli e la casa viene disinfettata da cima a fondo. […] Utilizzando questo sistema, la giunta comunale ha espresso l’opinione che la malattia viene debellata in modo pronto e completo a un costo esiguo.” (D.I.)

A Leicester il 23 marzo del 1885 ci fu una grande manifestazione contro l’obbligo vaccinale introdotto con i decreti nazionali inglesi del 1840 e del 1853. Dopo decenni di vaccinazioni neonatali e dei conseguenti danni subiti, i genitori cominciarono a rifiutare di far vaccinare i propri figli. La disobbedienza costava cara, tanti persero i loro beni perché non potevano pagare le gravi sanzioni e finirono in prigione. In seguito alla grande manifestazione del 23 marzo, la vecchia giunta fu destituita e quella nuova diede il via all’esperimento ribelle, assecondando le istanze degli antivaccinisti. Già nel 1887 il tasso di copertura vaccinale era sceso al 10% in città. E nonostante i malauguranti pronostici dei medici vaccinisti, Leicester rispose meglio alle successive epidemie di vaiolo rispetto ad altre città inglesi super vaccinate. Ma il “metodo Leicester” fu completamente dimenticato e messo da parte nonostante le evidenze riportassero il fatto che le misure igieniche e di oculato isolamento avessero dato buoni frutti.

Perché il governo accentrato dello stato dovrebbe essere accettabile in caso di epidemia? La coercizione, i ministeri, le leggi in questo campo sono improvvisamente diventati un bene? Ci siamo già dimenticati che l’emergenza Covid ha sedato nel sangue diverse rivolte carcerarie nel 2020? L’esempio di Leicester non mostra ancora una volta che i problemi, di qualsiasi natura essi siano, occorre prima di tutto assumerseli in prima persona al di là dei titoli di competenza e magari risolverli a livello locale? A Leicester furono i genitori a ribellarsi all’autorità sanitaria e statale, dei non esperti di medicina guidati dalla dolorosa osservazione dei gravi danni procurati ai loro figli e dal sacrosanto dovere di proteggerli.

Mi preme sottolineare che l’incidenza del vaiolo era contabilizzata sul numero dei malati, cioè su coloro che mostravano i sintomi della malattia, non si andava a scovare il virus anche sui “presunti sani” con test preventivi.

“Quando una società si organizza in funzione di una caccia preventiva alle malattie, la diagnosi assume allora i caratteri di una epidemia. Questo supremo trionfo della cultura terapeutica tramuta l’indipendenza della normale persona sana in una forma intollerabile di devianza.” (N.M.)

L’epidemia di Covid è gestita attraverso l’utilizzo massiccio di test preventivi, questi simpatici tamponi, allo scopo di isolare anche chi non presenta sintomi. Il loro impiego presuppone che chiunque debba dimostrare in continuazione di essere sano ossia di non ospitare il virus. Che io sappia, questa procedura non ha precedenti, si basa su test la cui validità non è certissima (si parla in continuazione di falsi positivi o di falsi negativi) ma soprattutto i dati epidemici si basano sul numero dei tamponi effettuati, non su chi si ammala, ossia su chi presenta sintomi. Questa indagine preventiva nutre l’epidemia, fa l’epidemia, e contro ogni buon senso cambia l’idea profana della malattia:

Stamattina al risveglio non mi sento bene, misuro la febbre, ho 38 e mezzo, capisco di essere ammalato e quindi resto a casa finchè non guarisco.

No, non funziona così: stamattina devo andare a fare il tampone perché domani vorrei partecipare a una cerimonia pubblica. Sto bene, mi sento un leone ma devo dimostrarlo, forse nella mia criniera si annida un virus, sono un presunto malato.

Questo tipo di prevenzione presume che finché il tampone non attesta la mia salute, io non la posso esprimere né valutare con le mie sole facoltà. Questa procedura tecnico-burocratica non è nuova, ci serve un certificato di buona salute anche prima di iniziare percorsi vari, quello che è nuovo qui è il fatto che venga usata a tappeto nel corso di un’emergenza sanitaria.

In passato, in caso di epidemia si è ricorso direttamente al vaccino, consigliato o obbligatorio, come metodo di prevenzione. Oggi abbiamo anche quest’altro dispositivo che rende la situazione ancora più ammorbante e stressante: viviamo in un lazzaretto diffuso dal quale usciamo solo al prezzo di un test e solo per 48 ore per poi ritornarci e ricominciare daccapo.

La maggior parte della gente subisce questi dispositivi sanitari, tamponi e vaccini, perché è obbligata a farlo, perché terrorizzata, perché impreparata, perché dipendente, perché succube dell’apparato medico-statale-scientifico-economico-educativo.

La maggior parte della gente si sottopone alle cure mediche che i vari specialisti propinano senza essere minimamente informata sulla composizione delle migliaia dei pillole e sulle loro controindicazioni. Ma cosa ancora più grave, sono gli stessi medici a ignorarle.

I medici, così come gli altri professionisti-esperti, sono educati a ingurgitare e ad accumulare nozioni che serviranno a sostenere il sistema economico industriale esistente dal momento che “L’educazione in funzione di una società fondata sul consumo equivale alla formazione del consumatore.” (P.S.B.) C’è chi ne è cosciente ma va avanti lo stesso e chi a volte venendo a trovarsi di fronte a un muro di illusioni, interessi e falsi miti comincia a pensare, a indagare, a spulciare documenti, libri e riviste: “Scoprii, inoltre, quanto la scienza possa compiere errori atroci. È facile venir catturati da un sistema di convinzioni costruito su fondamenta traballanti e difettose. **Quanto spesso crediamo a qualcosa, non perché abbiamo fatto ricerche approfondite, ma solo perché l’autorità ci dice che è la verità?” (D.I.)

Qualsiasi sapere che non si riesce a tradurre nella semplicità della lingua di tutti diventa dogma. Qualsiasi proposizione se viene accettata come un dogma, senza essere analizzata e compresa con le proprie forze intellettive e intuitive, anche se è la più giusta e inoppugnabile, rende sudditi.

La concezione dello stato, del potere di pochi sulla maggioranza, nelle sue prime arcaiche forme si fondava sul monopolio del sapere da parte di una ristretta casta di sacerdoti. Oggi il sapere è diventato, oltre che monopolio di svariate caste, sempre più oscuro, inaccessibile, intraducibile per manifesta volontà e per la sua stessa natura tecnicista e specialistica. E la Medicina non fa eccezione.

Ci consegniamo così nelle mani di estranei laureati e specializzati nella cura spezzettata del corpo dalla culla alla bara, senza quasi mai afferrare il significato delle diagnosi e delle relative cure, spesso anzi subendole e non mettendole mai in discussione perché alla fine che cosa vuoi capirne tu profano del tuo stesso corpo, del tuo dolore, della tua sofferenza, della tua malattia, del tuo disagio? L’uomo è una macchina tra le altre, se si rompe la lavatrice chiamiamo l’idraulico, se si rompe il corpo chiamiamo il dottore.

“In tutte le società lo sviluppo ha avuto il medesimo effetto: ognuno si è trovato irretito in una nuova trama di dipendenza nei confronti dei prodotti sfornati dal medesimo tipo di macchine: fabbriche, cliniche, studi televisivi, istituti di ricerca.” Prima la gente era in grado “di soddisfare quasi tutti i propri bisogni in un contesto di sussistenza; dopo la plastica ha sostituito la ceramica, le bevande gassate l’acqua, il Valium la camomilla, i microsolchi la chitarra” (P.S.B.)

La critica allo stato industriale e ai suoi sostenitori, ossia agli esperti che lo nutrono e che indubbiamente sono più numerosi rispetto a coloro che lo ostacolano (di oppositori ce ne sono stati diversi nel tempo, certo non tutti guidati dalla stessa determinazione esplosiva del matematico Theodore Kaczynski) dovrebbe portare non solo a lottare contro la polizia, le grandi opere, le carceri ma anche contro l’azione apparentemente benefica della scolarizzazione e della medicalizzazione coatte al di là di questo momento storico ma a partire dalle contraddizioni emerse proprio in questo momento storico.

Le critiche alla gestione pandemica dovrebbero portare a una riflessione su tutto l’apparato sanitario per poter magari arrivare a comprendere che la medicalizzazione della vita è espropriazione dei corpi da parte dello stato.

Fin dall’inizio dell’età moderna lo stato cercò a suon di leggi e repressioni violente di strappare dalle mani delle donne la gestione della maternità e del controllo delle nascite, per ovvi motivi economici di accumulazione di forza-lavoro. La questione dell’aborto rientra in questo fenomeno che se non viene preso in considerazione inficia ogni tipo di analisi con il rischio di cadere nella superficialità di posizioni moralistiche di stampo cattolico, come nel caso del libretto a suo tempo scritto da Silvia Guerini. Nelle sue pagine è la questione etica che prevale e non la critica alla gestione medica dei corpi delle donne, è l’assassinio del feto a essere sotto accusa e non l’assassinio dell’autonomia dell’individuo sostituita dalla morale unica dello stato e della chiesa.

Per farla finita con la propaganda del “eh ma prima le donne morivano di parto, menomale per i medici e per gli ospedali”, è bene riportare alcuni esempi dei danni iatrogeni del sistema sanitario.

Il primo riferimento d’obbligo va fatto all’epidemia di febbre puerperale, “una patologia mediata dall’arroganza dei medici” (D.I.) che si sostituirono alle levatrici nella pratica ostetrica, causando la morte delle partorienti dopo atroci sofferenze. Questo succedeva perché i medici non usavano lavarsi le mani dopo aver toccato altri pazienti o addirittura cadaveri. “I dottori Oliver Wendell Holmes negli Stati Uniti e Ignaz Semmelweis in Austria […] tentarono di convincere i colleghi medici a lavarsi le mani e a seguire di più la pratica ostetrica secondo la tradizione delle levatrici. Entrambi furono ignorati e perfino attaccati professionalmente per le loro idee. Dopo anni di angoscia, vedendo le donne morire inutilmente, lasciarono disgustati il campo della medicina. Holmes divenne uno scrittore. Nel 1865 Semmelweis venne fatto entrare con l’inganno in un manicomio”, (D.I.) dove trovò la morte.

Tra il ’700 e la metà del ‘900 la febbre puerperale lasciò “milioni di bambini orfani di madre, condannati a morire o a vivere una vita di malnutrizione e malattia, spesso costretti a lavorare in miniera, in fabbrica…”, (D.I.) fatto questo che non viene mai contabilizzato nell’analisi delle epidemie che in questo lasso di tempo colpirono il mondo (Usa, Europa, Nuova Zelanda).

Un altro esempio della nocività dell’ingerenza medica in questo campo è l’uso del forcipe durante il parto, l’ennesimo strumento di morte e invalidità di cui penso sia inutile anche discutere.

Il mito della scienza medica dovrebbe essere sfatato affinché si capisca la sua naturale collisione con l’avvento dello stato capitalista.

“La professionalizzazione stessa della medicina nasce dal bisogno di controllo sociale, il che significa che essa non solo doveva distruggere per affermarsi certe pratiche popolari, **ma si sviluppa proprio per distruggerle.* Disciplinare il proletariato, infatti, voleva dire espropriarlo di ogni conoscenza e strumento, che gli permettesse di esercitare un controllo autonomo anzitutto sul suo corpo, sostituendo ad essi un patrimonio di conoscenze scientifiche ‘inoppugnabili’ che si ergeranno contro i proletari come una forza estranea antagonistica.” (I.G.C.)*

La nascita della scienza moderna e di quella medica in questo caso non può essere disgiunta dall’avvento del capitalismo e degli stati nazionali.

Vediamo tutt’ora agire questa stessa dinamica di espropriazione nella continua e mai interrotta colonizzazione delle terre appartenenti alle popolazioni non ancora soggette allo sviluppo. Ovunque nel mondo il fenomeno dell’accaparramento delle terre da parte di multinazionali e stati (in inglese land grabbing) costringe le popolazioni native del Sud America, dell’Africa e dell’India ad abbandonare le terre ancestrali e di conseguenza anche il loro sapersi curare, cibare e riparare nel quadro di un’economia di sussistenza che è allo stesso tempo conservazione del territorio.

“Nonostante numerosi studi abbiano dimostrato quanto non vi sia migliore capacità di conservazione della natura di quella dei popoli indigeni” (I.P.T.), l’ecologia istituzionale continua ad appoggiare politiche capitaliste che nascondono dietro alla definizione “aree protette” tutta la loro carica assassina. Sotto il pretesto della protezione delle foreste e della fauna sono stati istituiti diversi parchi nazionali: se ai nativi viene impedito di accedervi e a volte vengono anche uccisi con la scusa della lotta al bracconaggio, ai turisti invece viene concesso pagando di fare un tour su fuoristrada in mezzo alla “natura selvaggia” che fotografata potrà riempire l’ennesimo album di viaggio prima del ritorno alla giungla cittadina.

“Il modello di protezione ambientale detto ‘conservazione – fortezza’ ha avuto origine in Nord America, ed è stato adottato per la prima volta in quelli che oggi conosciamo come i Parchi nazionali Yosemite e Yellowstone (Corry, 2010). Quando furono creati, nella seconda metà dell’800 i Nativi Americani che vivevano da secoli in quei territori furono sfrattati violentemente, costretti in riserve e ridotti in povertà. Chi si opponeva veniva ucciso.”

“Mentre gli indigeni e i locali venivano etichettati come “bracconieri” se cacciavano per alimentarsi, l’uccisione degli animali per sport o per piacere da parte dei colonizzatori bianchi (La “caccia al trofeo”) era consentita e in molti casi definita, anche oggi, uno strumento utile all’attività di conservazione (Howard, 2013; Wcs, 2018).” (I.P.T.)

Nel colonialismo verde è ancora l’arroganza degli esperti occidentali ad agire: la tecnoscienza capitalista è il mezzo migliore per poter vivere bene su questa terra, l’ideologia e gli interessi economici viaggiano insieme. Invadono le terre indigene per interesse ma agli ignari sudditi occidentali viene detto che è per proteggere quel che resta della “natura selvaggia”. Nel frattempo gli indigeni sfrattati vanno a popolare le aree vicino ai parchi o le periferie urbane, peggiorando le loro condizioni psicofisiche, igieniche, spirituali. Queste immagini di miseria ci arrivano attraverso i mass media e noi ci convinciamo che quei poveracci vivono male non perché hanno perso tutta la loro cultura e natura ma perché non hanno l’elettricità, le medicine, le case e l’istruzione giuste. Prima gli si ruba la zappa e poi andiamo lì a vendergli il trattore, prima viene creato il bisogno e poi venduto a caro prezzo il rimedio. Sul canale Youtube di Survival International numerose sono le testimonianze dirette degli scacciati e delle donne che non avendo più una dimora abitano in baracche fatiscenti e non avendo più l’accesso alla foresta non possono raccogliere gratuitamente la legna, i frutti, le erbe medicinali per sé e per la propria famiglia.

L’espropriazione del sistema economico capitalista trasforma così l’autonomia creativa e naturale delle comunità in morbosa dipendenza da castrazione. È così che la libertà che si definiva direttamente, in un mondo dentro alla natura, come risposta autonoma e creativa alle necessità della vita, si trasforma in richiesta di diritti al padre stato: diritti che mutano i beni che la natura ci offre in merci.

“ ‘Diritto all’aria pura’ significa perdita dell’aria pura come bene naturale. Il suo passaggio a statuto di merce e la sua ridistribuzione ineguale. Non bisognerebbe considerare come progresso sociale obiettivo […] quello che è un progresso del sistema capitalista – cioè la trasformazione progressiva di tutti i valori concreti e naturali in forme produttive cioè come fonte di:

– profitto economico

– privilegio sociale. ” (L.S.C.)

Qualcuno potrebbe forse storcere il naso per l’uso indiscriminato che qui viene fatto dei termini “naturale” e “natura”. La dicotomia tra cultura e natura fa parte del pensiero occidentale da tempo ma si è trasformata in una guerra totale contro la madre terra solo con l’avvento del sistema tecno-industriale. Natura è ciò che ha la capacità di nascere e quindi di autoalimentarsi, di autocurarsi, di autodisciplinarsi in una prospettiva simbiotica di tutte le sue parti. È proprio in questa prospettiva simbiotica che le comunità umane hanno vissuto per millenni adattandosi alle differenti condizioni ambientali del globo e creando migliaia di culture e di linguaggi. La svalutazione della natura e degli esseri umani che ne fanno parte si è imposta con l’avvento del capitalismo che ha mercificato e sta ancora mercificando ciò che prima era semplicemente vivo, dato, abbondante e alla portata di tutti. Certo, non proprio di tutti, il patriarcato è molto più antico del capitalismo, risale all’arrivo in Europa dei Kurgan nel IV millennio a.C. secondo la Gimbutas o all’avvento della prima forma statale, l’impero Sumero, nel III millennio a. C. secondo Ocalan. In altri termini non sarebbe corretto affermare che prima dell’età moderna non ci siano stati la schiavitù, la sottomissione della donna, la violenza di stato e tutto ciò che essa comporta. Tra il ‘500 e il ‘600 però il patriarcato ha partorito il suo figlio più mostruoso ossia il capitalismo, grazie all’opera dei suoi precursori più fecondi, a partire da Descartes e Galileo. Se con il primo il corpo animale e la natura tutta diventano un mero meccanismo automatico e privo di pensiero (la vivisezione e l’anatomia cominciano dai suoi esperimenti sugli animali; in quanto privi di anima erano secondo il dotto incapaci di provare dolore), con il secondo la scienza si emancipò progressivamente dai limiti della terra che diventò così un immenso laboratorio nel quale ricreare condizioni ed elementi estranei alla sua natura.

“Furono necessarie molte generazioni e qualche secolo prima che il vero significato della rivoluzione copernicana venisse alla luce con la scoperta del punto di Archimede. Solo noi, e solo da qualche decennio, abbiamo iniziato a vivere in un mondo interamente determinato da una scienza e una tecnologia in cui la verità oggettiva e la competenza pratica sono derivate da leggi cosmiche e universali anziché terrestri e ‘naturali’, e dove la conoscenza acquisita scegliendo un punto di riferimento extraterrestre, è applicata alla natura terrestre e alla tecnica umana.” (V.A.). In altre parole è come se la terra fosse diventata la cavia di uno scienziato che agisce in un laboratorio che ormai ha i limiti dell’universo, uno scienziato che non ha più i piedi per terra perso com’è nell’infinito campo delle sue astrazioni.

Ma il punto di Archimede, questo punto di osservazione che si perde nell’universo, è solo una finzione che si svela nel momento in cui questo topo da laboratorio apre gli occhi e contemplando i risultati delle sue accidentali applicazioni sulla via della pura conoscenza si accorge che la sua volontà di sapere ha favorito la volontà di potenza dello stato a cui appartiene o a cui si è venduto e non certo il miglioramento della condizione umana.

Quanta beffarda ingenuità nelle parole di pentimento tardivo di alcuni di questi premi Nobel che si risvegliano all’etica dopo aver contribuito all’edificazione del disastro: “Se avessi saputo ciò che stavano per combinare avrei fatto il calzolaio.”, scriveva Einstein dopo le catastrofi atomiche della II guerra mondiale.

Gli appelli alla moderazione nell’uso degli strumenti da parte degli scienziati sono sempre rivolti ai politici ovviamente, sono sempre questi ultimi i colpevoli del cattivo uso degli strumenti e mai i loro inventori. La scienza non si pone limiti etici, è al di là del bene e del male, è neutrale, è sacra, è solo ricerca di verità sul mondo. Ma anche questa è una finzione se nella realtà dei fatti è la

sete di profitto che spinge e ha spinto gli scienziati-inventori a vendersi al miglior offerente attraverso i brevetti e non lo spirito di verità. Insomma, questi medici, ricercatori, studiosi, professionisti vari, sono veramente gli eroi disinteressati dipinti dalla favolistica mediatica, sono veramente dei missionari che si immolano sugli altari della scienza per il bene dell’umanità?

La scienza non è forse la nostra nuova religione, quella che ci salverà da noi stessi, dalle nostre innate imperfezioni che potranno essere finalmente rimosse attraverso la manipolazione genetica della vita, ossia dell’ “ultimo legame per cui l’uomo rientra ancora tra i figli della natura” (V.A.)?

La verità è che queste domande non si possono più porre nelle nostre società super tecnologiche, l’abbiamo già perso quell’ultimo legame dal momento che utilizzando il termine “natura” ci sentiamo di fare un torto a qualcuno, o pensiamo di passare per “essenzialisti” retrogadi, fascisti e omofobi.

“Bisogna quindi riconoscere che l’implementazione del Green Pass comporterà l’accelerazione dell’abbandono della tradizionale nozione ippocratica di salute come dono naturale ricevuto, e l’adesione alla nuova nozione psico-fisica di salute come costrutto sociale, in cui il “danno a terzi” è determinato dalle opportunità tecnico-scientifiche e non più dalla natura.” (CNB)

Dal momento che la natura è persa ci tocca vivere in un mondo completamente tecnico, dove la comunione è diventata comunicazione, dove la conoscenza è diventata informazione, dove il rispetto della differenza passa dai simboli di una tastiera, dove la comunità è diventata community, dove la cura è diventata terapia, dove l’apprendimento è diventato scolarizzazione perpetua, dove la libertà diventa diritto, dove la riproduzione è diventata un affare di bioingegneria, dove ogni aspetto della vita e della cultura è mediato dalla tecnica, dove il pensiero fatica a esprimersi nella confusione totale dei significati che si perdono sulla strada di una civiltà completamente artificiale.

“L’ambiente tecnico non potrebbe esistere se non si appoggiasse e ricavasse le proprie risorse da quello Naturale (Natura e Società). Ma mentre lo esaurisce e lo estenua, lo elimina in quanto ambiente e vi si sostituisce.”, (I.S.T.) afferma Ellul. L’ambiente naturale qui definito comprende tutti gli elementi naturali della terra, dal filo d’erba all’essere umano, uniti da quell’ultimo legame di cui sopra, la vita. Elementi che nelle mani delle varie scienze diventano semplici risorse, materiali di ricostruzione di un mondo tecnico che si estende dalle megaopere di viabilità supersonica ai vegetali geneticamente modificati, dagli impianti nucleari a quelli uterini, dalle reti informatiche all’allevamento intensivo, dall’agrochimica alla chimica farmaceutica, un mondo macchinizzato dove la prima macchina inventata dal capitale, quella umana, può adattarsi solo a costo di continue chirurgie.

In questo mondo ci possiamo vivere con inquietudine o entusiasmo, dipende dai punti di vista o dalle prese di posizione o dalla capacità personale di gestire i vari gradi di dissociazione o rimozione.

Fidarsi di una persona, che sia un medico, un insegnante o un prete non significa fidarsi delle istituzioni che pur li condizionano, la fiducia si dà o si costruisce nell’incontro e nella conoscenza di qualcuno, nell’ascolto e nella comprensione, nella possibilità di valutare le parole e gli atti di chi mi sta di fronte. Tenendo comunque presente che difficilmente troveremo medici, insegnanti o preti ribelli, poiché difficile è sputare nel piatto dove si mangia, ci sono troppi interessi in ballo. Eppure in questo periodo in tanti casi neanche il movente economico riesce a impedire la disobbedienza, anche se varie sono le ragioni della renitenza, i discorsi sulla libertà di cura si mischiano a disegni complottisti di vario genere.

Il dato è che comunque tante persone rispondono male alla coercizione medica imposta dal governo: sono tutti di Forza Nuova? Come mai gli anarchici, ossia quelli che sono contro ogni tipo di governo imposto dall’alto non si esprimono, men che meno nelle piazze? E gli antispecisti dove sono andati a finire, non lo sanno che gli studi sperimentali sui vaccini e su tutti gli altri farmaci uccidono milioni di animali ogni anno? E “il corpo è mio e me lo gestisco io” a che cosa si riferiva tanto tempo fa, care femministe, solo al vostro utero? Siamo proprio sicuri che un corpo in transizione sia l’espressione della sua libertà e non l’ennesima espropriazione? Non sarà che siamo troppo imbrigliati in questo sistema da non riuscire più a criticarlo e quindi anche a colpirlo?

La crisi è un’opportunità per riflettere, per rimettere in questione, per ragionare sulla realtà, e questa che stiamo vivendo è una crisi profonda che scuote, spacca, divide. È giunto il momento di scannarsi ma con i discorsi, non con gli slogan e gli insulti, fino in fondo.

Le citazioni sono tratte da questi testi:

(D.I) – Malattie vaccini e la storia dimenticata [Dissolving Illusions], S. Humphries e R. Bystrianyk, 2018

(N.M.) – Nemesi medica, I. Illich, 1977

(P.S.B.) – Per una storia dei bisogni, I. Illich, 1981

(I.G.C.) – Il grande Calibano, S. Federici e L. Fortunati, 1984

(I.P.T.) – I padroni della terra, rapporto sull’accaparramento della terra 2021: conseguenze su diritti umani, ambiente e migrazioni a cura di A. Stocchiero di FOCSIV

(L.S.C.) – La società dei consumi, J. Baudrillard, 1970

(V.A.) – Vita activa, H. Arendt, 2014

(I.S.T.) – Il sistema tecnico, J. Ellul, 2009

(C.N.B.) – Parere Comitato Nazionale di Bioetica n. P141 del 30 aprile 2021

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